tremendieventi

giovedì 30 dicembre 2010

Caro Gesù bambino



Non sono mai riuscito a leggere la letterina di Natale. Chissa quante altre persone possono davvero capire ciò di cui parlo. Non so se in quegli anni capitava anche ad altri, ma a me succedeva più o meno così. Intorno ai primi di dicembre, a scuola, la maestra ci diceva di scrivere una letterina a Gesù bambino per Natale. Era una sorta di sintesi tra riti cattolici e usanza pagane. A quei tempi si considerava anti-educativo scrivere direttamente a Babbo Natale, figuriamoci poi per chiedere i regali. Anche perchè quest'ultimo non fa parte delle tradizioni natalizie delle mie parti, basti pensare che a me i regali li ha sempre portati la befana. Dicevo la maestra ci faceva scrivere una sorta di bilancio dell'anno che volgeva al termine e una serie di buoni propositi per l'anno successivo, il tutto condito da una serie di infinite melensaggini sull'amore per i genitori e sulla speranza della fine imminente di una qualsiasi guerra nel mondo. Ricordo che queste letterine avevano delle forme artistiche molto particolari. Ad esempio un anno erano di un cartoncino verde a forma di albero di natale, con delle palline che risultavano dall'applicazione della colla a forma rotonda sulla quale venivano sparse delle paillettes con un effetto ottico davvero notevole. Sull'altro lato del cartoncino si scriveva la letterina che poi andava letta il giorno di Natale. Il primo anno delle elementari ci pensavano le maestre a scriverla e noi dovevamo imparare quelle poche righe a memoria. Ancora oggi, mentre me ne ricordo cominciano a sudarmi le mani e sono preso da un'irrefrenabile voglia di scappare in bagno. Allora succedeva che il giorno di Natale ci si metteva tutti seduti a tavola, dopo una lunga ed estenuante messa in cui il prete, per assolvere al suo dovere, non chiudeva mai la predica prima dei quaranta minuti. Poco prima di iniziare il pasto veniva il turno della lettura delle letterine e lì cominciava il mio incubo. Ero come inebetito dall'emozione, il cuore mi batteva molto forte, la salivazione era azzerata e in più tutta l'acqua contenuta nel mio corpo cominciava a sgorgarmi dalle mani con un effetto mostruoso: la lettera si stropicciava e alcune parole diventavano illeggibili. Mi ricordo che mi facevano salire sulla sedia onde decantare meglio la mia composizione, ma, inevitabilmente, appena giunto alla quarta o quinta parola scoppiavo in lacrime. O meglio, la commozione mi stringeva la gola, tentavo disperatamente e invano di non farne accorgere i presenti, ma alla fine ero costretto a smettere. E lì partivano due cose che nella loro unicità sono rimaste immutate in quegli anni: da un lato gli sfottò dei miei fratelli per i quali non c'era nessun problema a leggere la loro letterina e che mi precedevano sempre in quell'orribile siparietto e poi la consolazione di mia madre, di mia zia e di mia nonna che continuavano a chiedermi, lo hanno fatto per circa cinque sei anni e sempre con lo stesso tono, perchè mi commuovevo. Puntualmente per me era rovinato il pranzo di Natale. Ricordo la secchezza delle lacrime che si asciugavano appena si posavano sul mio viso troppo accalorato e il loro sapore amaro in bocca, la mia corsa in bagno ad asciugarmi il viso e gli strascichi di quegli orribili attimi che ancora oggi a volte mi ritornano alla mente.


martedì 21 dicembre 2010

Grazie Maurizio



Alla fine una delle cose che più ricorderemo di questi assurdi anni è proprio la parabola politico-mediatica del senatore, ex parlamentare, ex ministro delle telecomunicazioni ex qualcos'altro Maurizio Gasparri. Non c'è trasmissione, non c'è comico di destra o di sinistra, disegnatore, vignettista, editorialista di qualsiasi testata che non lo consideri almeno un po' inadeguato al ruolo, di qualsiasi ruolo si tratti. E pure lui se ne sta lì con quell'espressione un po' basita, il sorriso appena accennato sul viso, lo sguardo perso e la faccia di chi sta per dirti: "vi piacerebbe che io me ne andassi, eh? E invece sono ancora qui!". E sì, perchè nonostante tutto lui è ancora qui. Spesso anche nei dibattiti, i suoi interlocutori fanno fatica a stargli dietro e a prenderlo sul serio, mentre i conduttori se lo consentono, sapendo il sicuro appeal che genera sulle masse, sempre alla ricerca di un po' di svago dopo una intensa giornata di lavoro. Ex MSI, ex An, romano e romanista, dice di aver iniziato la sua carriera politica nelle file della destra perchè ai tempi in cui andava a scuola erano tutti di sinistra, mentre a lui piaceva stare fuori dal coro. In realtà quest'ultima abitudine non l'ha mai persa. E' così fuori dal coro che spesso anche suoi colleghi di partito non riescono a comprendere il senso e la tempistica di certe uscite quantomeno temerarie. Anche grazie al principale telegiornale italiano, è diventato ormai un esternatore professionista. Parla in qualsiasi giorno della settimana, "domenica e festivi compresi" (come prometteva negli anni Ottanta il testimonial di un famoso mobilificio brianzolo sponsor delle prime televisioni commerciali), dice la sua su qualsiasi argomento, dalla televisione, a proposito la legge sul riordino del sistema radiotelevisivo porta il suo nome, alle alleanze politiche, dalle elezioni anticipate all'ordine pubblico. In questo modo è corteggiatissimo dai cronisti politici che sanno che con una dichiarazione possono fare un titolo d'aperutra e almeno mezza pagina di quotidiano o quattro-cinque minuti di telegiornale. Ad esempio l'altro giorno tutti erano già pronti ad archiviare una giornata noiosa sul piano mediatico: c'era l'Italia bloccata dal maltempo e dallo scaricabarile sulle responsabilità dei disagi causati dalla neve, la solita montagna di rifiuti a Napoli, gli scialbi tenativi di acquistare questo o quell'altro parlamentare a prezzi ormai da liquidazione. All'ora di pranzo questo estemporaneo personaggio infiamma le agenzie: per evitare nuovi scontri di piazza dopo il martedì nero della settimana scorsa sarebbe opportuno procedere ad arresti preventivi all'interno dei gruppi antagonisti, tanto le forze dell'ordine sanno bene chi sono questi potenziali guerriglieri. Driiiiiiiin, sveglia, c'è da fare il titolo, c'è da raccogliere le dichiarazioni di Di Pietro, del capo della polizia, da sottolineare l'indignazione di Bersani, e poi la smentita di Maroni e le precisazioni di Cicchitto. Immagino il sospiro di sollievo dei direttori nelle redazioni di quotidiani e telegiornali. Pericolo scampato, anche oggi siamo riusciti a chiudere il giornale. Grazie Maurizio.


mercoledì 15 dicembre 2010

Forecast



E meno male che non ho mai provato a scommettere nemmeno un centesimo su qualsiasi cosa dalle corse dei cavalli alle lotterie di stato. A quest'ora forse avrei perso tutto e mendicherei la generosità dei passanti agli angoli di una strada. Davvero la capacità di vaticinare gli eventi futuri non è una mia caratteristica e di questo prima o poi dovrò farmene una ragione. E pure ce la metto tutta, immagino scenari, valuto gli elementi di partenza, provo a tenere conto dei fattori e delle variabili in campo e di come esse potrebbero comportarsi in futuro, ma niente, non è cosa mia. Dovrò imparare a convivere con la mia incapacità di indovinare il futuro e soprattutto non dovrò fare affidamento sulle mie doti nel caso in cui gli scenari previsti possano determinare una perdita per me o per chiunque stia al mio fianco. Ricordo che già nella metà degli anni Novanta avevo sconsigliato a mio padre di acquistare una casa a Roma. Meno male che non volle starmi a sentire. La casa venne acquistata ad un prezzo irrisorio e nel giro di pochi anni raddoppiò il suo valore. Oggi vale quasi tre volte e mezzo il prezzo pagato allora. Mi ricordo che erano i tempi in cui tutti puntavano sulla borsa, preparandosi alla grande bolla delle dot.com che scoppiò all'inizio del Duemila e anche io consigliai ai miei genitori di restare liquidi, al più provare un investimento in azioni, ma mai nell'immobile. Mio padre capì sin da allora che non avevo alcun fiuto per gli affari, ma non me lo ha mai fatto notare, non me ne ha mai parlato direttamente, ha sempre fatto finta di ascoltare attentamente le mie elaborate disanime e alla fine ha fatto, fortunatamente, l'esatto opposto di quanto gli avevo consigliato. In seguito decise di comprare addirittura un'altra casa pochi anni più tardi, anche se allora ebbi il buon senso di non consigliargli niente. Poche settimane fa avevo previsto l'immediata fine del governo in carica e persino del movimento culturale di cui è diretta incarnazione da quando, ormai quasi vent'anni fa, l'attuale primo ministro ha fatto il suo ingresso sulla scena politica. Ieri stesso in un altro post avevo previsto il voto contrario alla mozione di sfiducia da parte di Paolo Guzzanti. Beh mi sono sbagliato in tutti e due i casi. Il governo ieri ha avuto la maggioranza nei due rami del parlamento e in più il parlamentare citato nel post di ieri ha votato la sfiducia al governo, coerentemente a quanto affermato negli ultimi tempi. Il movimento politico del primo ministro sembra tutt'altro che in crisi e in ogni caso incassa la fiducia e guarda con maggiore ottimismo alle prossime sfide parlamentari. Certo, se poi si vanno a leggere i commenti dei vari esponenti politici è tutto un fiorire di distinguo, vittoria di pirro, sorpasso nei numeri ma sconfitta politica, governo Scilipoti (dal nome di un ex componente dell'opposizione, determinante per la vittoria risicata della maggioranza), campagna acquisti, prodizzazione dell'esecutivo, rilancio dell'azione di governo, allargamento alle forze resposabili e moderate...vabbè è inutile soffermarcisi troppo, è sempre la stessa storia della politica italiana e sono gli stessi commenti che si possono ascoltare in qualsiasi dibattito post-elettorale. E invece la questione è molto chiara:ieri c'è stata una forza di governo che ha vinto e l'opposizione che ha perso. E sarà bene partire da questo dato per immaginare qualsiasi scenario futuro. In più ho avuto di nuovo prova che le mie previsioni si rivelano totalmente errate sia che si tratti di affari personali, sia che riguardino la vita pubblica del mio Paese.


martedì 14 dicembre 2010

Mignotto



Non si può restare indifferenti di fronte allo spettacolo che ci offre il parlamento i queste ore. Ieri si è cominciato di buon mattino al senato verso le 9, un orario insolito per chi siede in parlamento, con il primo discorso del presidente del consiglio. L'ultima replica vi è stata quasi dodici ore più tardi nell'altro ramo del parlamento. In mezzo una giornata di quelle che non vorresti mai vivere o, come cantava la Vanoni, "in cui rivedo tutta la mia vita". E sì perchè anche ieri si è assistito al balletto della politica italiana, quasi sempre lo stesso dal 1947 in poi. Passeggiate sottobraccio tra i banchi e nei corridoi delle aule, parlamentari convocati per migliaia di caffè, finanziamenti improvvisi a fondazioni e giornali di partito, telefonate interminabili di colleghi che si informano sullo stato di salute tuo di tuo figlio e di tua moglie fino alla settima generazione, riunioni notturne di gruppi e commissioni, dibattiti in televisioni e alla fine si riescono persino a resuscitare i partiti. A me però è rimasta un'immagine forse minore, ma emblematica. Non è facile raccontare questa storia perchè i protagonisti sono assolutamente estranei a qualsiasi logica, ma ben inseriti in tutte le dinamiche di questi disgraziati anni. Allora accade che esiste un parlamentare con zazzera a barba rossa che per anni è stato un sodale dell'attuale Primo Ministro, nonchè penna affilatissima del giornale di proprietà del presidente-editore. Si è distinto soprattutto per quell'affetto alla dietrologia complottista che accomuna tanti uomini nati prima della seconda guerra mondiale che in cuor loro avrebbero voluto essere delle spie ma che alla fine sono solo degli idioti più o meno servi di questo o quell'altro padrone. Il nostro passa alle cronache soprattutto per la pallottola spuntata della Commissione Mitrokhin della quale è bello e giusto tacere gli esiti anche perchè basta citarla per creare ilarità in qualsiasi essere umano, ancorchè di parte, dotato di un minimo di intelligenza. Parallelamente, succede che ci sia un partito che annovera tra i suoi esponenti storici gente come Luigi Einaudi, Benedetto Croce, Enrico de Nicola e Giovanni Malagodi e questo già basterebbe a farne uno tra i migliori partiti italiani, anche se tra i meno votati dato che, a parte la parentesi degli anni Sessanta in cui sfiora diverse volte il 6-7%, non riesce queasi mai a superare la soglia del 4%. Succede poi che questo partito alla fine del 1992 viene anch'esso travolto dalle inchieste sulle tangenti e praticamente dal 1994 non esiste più. Allora a questo punto la domanda che ci si potrebbe porre è: quale nesso c'è tra un parlamentare che somiglia nell'aspetto fisico a Federico Barbarossa e un partito che ha espresso intellettuali di primo piano e un paio di Presidenti della Repubblica? All'apparenza nessuno. Ma in queste giornate senza tempo tutto può succedere. Ad esempio succede che il parlamentare in questione abbia costituito un gruppo autonomo col nome del partito di cui sopra e oggi, a tre ore dal voto di fiducia, non sa ancora che posizione prendere. Anzi ieri pomeriggio in un'accesa direzione nazionale proprio di quel partito, sia stata messa ai voti l'astensione dal voto di oggi. Il risultato, e non poteva essere altrimenti, è stato il frutto di un'estenuante mediazione tra il parlamentare e se stesso, visto che la direzione del partito aveva una sola sedia occupata. A commento di ciò si dice che qualche illuminato intellettuale per definire il sistema di governo in carica ha usato il termine di "mignottocrazia".


venerdì 10 dicembre 2010

Occupato



Ne avevo sentito parlare nei giorni scorsi ma toccarli con mano è un'altra cosa. Ricordo martedì scorso ad esempio. Ero sul Lungotevere e la città sembrava completamente bloccata. Ci avevo messo un'ora e mezza per fare un tratto che all'ora di punta può richiedere un quarto d'ora, quindi era evidente che c'era qualcosa che non andava. La sera accendo la TV e scopro che era stata una giornata di scontri non solo a Roma ma in gran parte d'Italia, dove venivano occupati i monumenti più rappresentativi. Intere parti della città intorno al Parlamento sono state completamente bloccate per evitare quanto verificatosi la settimana prima al senato. Allora gli studenti inferociti avevano lanciato uova contro la porta di Palazzo Madama e avevano anche tentato di sfondare il cordone di poliziotti che si popponevano al loro ingresso in un ramo del parlamento, convocato per approvare una legge sul riordino dell'università. Da allora la protesta era entrata anche nella mia vita, catapultandomi a una ventina di anni prima, quando anch'io ero studente. Ai miei tempi, però, i movimenti politici venivano visti con un certo scetticismo e perdipiù, vivendo in un piccolo paese, le eco degli scontri del tempo arrivavano a noi molto attutite e osservate con un certo distacco. Ieri sera invece la cronaca mi è apparsa davanti agli occhi. Stavo passeggiando per le strade del mio quartiere, verso le sette di sera. Era una serata calma, con un clima assolutamente inadatto per questa stagione, basti pensare che giorni prima ho visto persone con le magliettine di cotone a maniche corte. Ad un certo punto passo davanti ad una scuola. Vedo della gente davanti al portone, si tratta di quattro ragazzi giovanissimi che avranno avuto sì e no sedici anni. Li vedo parlottare tra loro, con un fare molto rilassato. Ad un certo punto entra nel cortile una utilitaria rossa, con altri giovani a bordo. Questi aprono il finestrino, parlottano coi ragazzi davanti al portone e ripartono. Mi chiedo cosa facciano tanti giovani a quest'ora di sera davanti alla scuola. Forse adesso si prolungano le attività extrascolastiche oltre l'orario di lezione, ci si riunisce per la palestra o per dei laboratori, boh non ne ho la più pallida idea. All'improvviso alzo gli occhi e leggo una scritta nera su un lenzuolo bianco "LICEO OCCUPATO". MI sembra una scritta bellissima. Il giusto ammonimento per chi, come me, quando pensa alle nuove generazioni, lo fa puntando un po' il ditino in alto e con la solita frase "eh però ai tempi miei...". E no,stavolta non funziona così, ai tempi miei un corno. Ai tempi miei si è scavato il più grande solco tra la politica e la gente da quando esiste la Repubblica e ancora oggi ne paghiamo gli effetti. Erano gli anni immediatamente successivi a tangentopoli e la gente, che fino al giorno prima era stata protagonista inconsapevole e correa delle malefatte di molti uomini politici, decideva a poco a poco di abdicare al proprio ruolo nella società, lasciando il campo a politici di professione con due metri di pelo sullo stomaco. Sono stati gli anni in cui si è deciso di delegare tutto il potere in mano a un solo uomo (non necessariamente sempre lo stesso) nella convinzione che i partiti avessero tradito la loro missione originaria e potessero essere guidati da comitati elettorali autoreferenziali. Il fallimento politico sotto i nostri occhi ci dimostra che si sono persi altri quindici anni, ma forse, nonostante tutto, anche grazie alla spinta festosa e incosciente di questi movimenti studenteschi, c'è ancora speranza. 


martedì 7 dicembre 2010

Athos



L'immagine che ho di lui è di una persona possente, con le braccia molto grosse e protettive e un fare da burbero che a volte, spesso, incuteva timore. Eppure era considerato da tutti una persona spassosa, simpatica, sempre pronta allo scherzo, in paese lo chiamavano quasi tutti zio. A volte cantava, ballava persino e come tutte le persone che hanno superato i sessantacinque anni era sempre pronto all'aneddoto che, in lui come in quasi tutte gli anziani, non ha mai un valore narrativo ma spesso è pura autocelebrazione. Sento ancora la sua voce mentre mi chiede se ho la ragazza e mi ammonisce di non farmi incastrare come era successo a lui, sposo ad appena diciannove anni e perdipiù di una donna più grande di lui. Me lo ricordo seduto vicino al camino dal quale uscivano dei ceppi che avrebbero riscaldato un esercito mentre arrotola senza pensarci troppo una sigaretta in delle cartine così piccole che nelle sue mani scomparivano, oppure mentre riempie la pipa che accende con dei fiammiferi bellissimi che vengono dal Belgio. Me lo ricordo fare dei grandi sospiri di soddisfazione mentre osserva la famiglia seduta intorno alla sua tavola. Si chiamava come un monte della Grecia e aveva lavorato in giro per il mondo. Mi ricordo pure quella tavola dove la roba era sempre il triplo di quella necessaria e il suo bicchiere che raccolgieva di tutto, coca cola aranciata gassosa vino e birra, a seconda del bibitone che aveva voglia di bere quel giorno. Mi ricordo che il pane a tavola non si contava a fette ma a forme. Mi tornano in mente anche i suoi pantaloni da lavoro blu elettrico che gli ho visto indossare infinite volte, oppure gli abiti per andare a caccia e i giubbini smanicati per portare le cartucce, le quaglie per allenare i cani stipate in gabbie in soffitta, l'odore molto forte di tutti i suoi cani che abbaiano mentre gli porta lda mangiare, il frigorifero pieno di cibo per i cani e tutta la sua casa che restituiva l'immagine di un cacciatore appassionato della vita all'aperto e dei suoi cani. Mi ricordo la forza che riusciva a comunicare quando perdeva le staffe in preda ad un accesso d'ira e mandava tutti quanti a quel paese, compresa la moglie che nonostante tutto non ha mai smesso di amarlo. Non ha smentito nemmeno per un attimo la fama di persona un po' forasta e non troppo abituata a trattar bene le persone. Certi suoi atteggiamenti, da sempre caratterizzati da alti e bassi persino coi parenti più prossimi, hanno pesato troppo nei rapporti con gli altri esseri umani. Negli ultimi tempi gli ho visto perdere peso, autorevolezza e capelli, ma mai quell'aria burbera e strafottente che ha caratterizzato la sua vita e che, insieme ai suoi infiniti racconti, è la cosa che mi mancherà di più.


mercoledì 1 dicembre 2010

Sala d'attesa



Mi hanno portato qui stamattina alle 9, adesso sono le 12 e non si vede l'ombra di un medico. Dicono che il dottore non è rrintracciabile. E pure mi hanno dimesso solo 15 giorni fa, che ci sono tornato a fare? Il medico mi disse di farmi vedere per un controllo di routine e oggi mio figlio, il più grande, mi ha portato in quest'ospedale. Ricordo una volta quando aveva undici anni. Mia moglie era andate a fare un viaggio a Lourdes con la sorella e la madre. Io avevo preferito restare a casa. Coi preti e le madonne non ci sono mai andato troppo d'accordo e poi avevo la scusa dei rgazzi, non ci potevamo allontanare tutti. Quel pomeriggio ricodo che c'era un sole intenso, quasi arancione, quando mi si avvicinò Nino tutto bianco in viso. Non riusciva a parlare e si contorceva dal dolore allo stomaco. Mi misi in macchina e feci una corsa all'ospedale che era a 30km da casa. Venni a sapere poi che aveva mangiato quasi due chili di prugne e s'era preso una bella indigestione. Ricordo che restai a vegliarlo tutta la notte. Ricordo l'adagiarsi delle ciglia sugli occhi mentre gli mettevano la flebo. NOn disse una parola, era troppo spaventato e sentiva di averla fatta grossa. Ricordo la bava alla bocca mentre la notte dormiva e io stavo lì a osservarlo e a pensare che pollo che era stato. Speravo che quella nottataccia gli servisse almeno per esperienza. Sono passati quasi cinquant'anni da allora e adesso sono io ad aver bisogno di lui. Non riesco proprio a muovermi da quando mi sono rotto il femore due anni fa. L'ospeoporosi poi spesso mi fa fratturare altri arti, così come è successo con il polso due settimane fa. Non è bello questo ospedale, anche se le persone che passano sono tutte allegre e sorridenti. C'è una suora che mi gira intorno da dieci minuti con la speranza che le chieda qualcosa, ma piuttosto ci crepo sopra questo divaneto, ma non le darò mai la soddisfazione di rendersi utile. Mio figlio è sparito da tre ore. Mi ha detto che doveva scappare al lavoro e qui il medico non si fa vedere. Devo andare in bagno, devo farmi aiutare, non ce la faccio da solo e non mi perdonerei mai di chiedere aiuto alla suora. Accanto a me è seduto un ragazzo. Avrà sui trent'anni e parla animatamente con la ragazza che deve fare una gastroscopia e per questo è molto nervosa e vuole essere consolata. Richiamo la sua attenzione e gli chiedo di avvicinarsi a me. Gli spiego che ho bisogno d'aiuto e la mia antipatia per la suora e d'improvviso gli si illuminano gli occhi: tombola! Anche lui cova un malcelato fastidio per questa specie di generose a comando. In meno che non si dica mi aiuta a tirarmi su e mi accompagna al bagno. Aspetta fuori dalla porta e mi riaccompagna al mio posto. Perfetto. Adesso posso stare qui tutta la giornata e, come se non bastasse, la suora, rossa per la rabbia, si è allontanata per l'onta dell'aiuto rifiutato. Grazie ragazzo, mi hai aiutato a sentirmi un po' meno dipendente dal pietismo di maniera di chi è costretto suo malgrado a fare del bene. Che il tuo dio ti benedica.


martedì 30 novembre 2010

Preghiera in novembre




Quando attraverserà l'ultimo vecchio ponte
ai suicidi dirà, baciandoli alla fronte:
"Venite in Paradiso, là dove vado io
perché non c'è l'inferno nel mondo del buon Dio"
(F. De Andrè, Preghiera in gennaio)

Cinico, dissacrante, autoironico, elegante, compagno, completamente fuori dagli schemi. Un giorno sono andato persino a vedere se sul citofono del suo portone c'era il suo cognome. E come ti sbagli. Stampato lì come uno qualsiasi, quasi senza rendersi conto di essere un mito vivente. Dal vivo l'ho visto solo una volta quasi un anno fa durante una manifestazione del popolo viola. Venne accolto da un'autentica ovazione e a momenti stava quasi per commuoversi. Poi, bando alle ciance, cominciò a parlare, quasi a voler far scivolare via da sè gli sguardi di tutti. Ad un certo punto gli scappò un "compagni" che non c'entrava molto in quel contesto ma che non era proprio riuscito a trattenere. Mentre lo vedevo sul palco pensavo che, nonostante i novanta e passa anni, era uscito di casa e si era accodato a quel fiume di gente come uno qualsiasi. Lui che era una persona eccezionale. Alcuni suoi film sono per me degli autentici capolavori perchè contengono un ritratto appassionato degli italiani partendo dai loro difetti. Con quel suo descriverli come abietti, arrivisti, approfittatori, ignoranti che vogliono essere chiamati dottori, cafoni arricchiti pieni di boria, intellettuali con la puzza sotto il naso che scendono in mezzo al proletariato salvo poi fuggire a casa a disinfettare gli abiti ni chachemire. Non gli capitava spesso di parlare bene degli italiani e proprio in questo stava il suo amore smisurato per la gente e per i suoi aspetti meno presentabili. Non smetterò mai di ringraziarlo per le fantastiche risate che mi sono fatto coi suoi film, per la ricerca linguistica nel suo film che per me è il più bello di tutti, L'armata Brancaleone con, tra gli altri, Gassman e Gian Maria Volontè. Il modo di andarsene poi è davvero unico. Sembra quasi una "bischerata" degna di Amici miei. Penso che non gli sarebbero piaciute nè i discorsi retorici, nè i ricordi commossi, li avrebbe seppelliti con una risata o con una bella grattata apotropaica.


venerdì 26 novembre 2010

Inaccettabile


Brent Lynch, Evening Lounge



Nel post del 26 ottobre 2010 avevo detto che non sarebbe certo finita la sfilza di neologismi e nuove interpretazioni a parole già usate che gli ultimi anni ci stanno lasciando. Oggi parlo di un'espressione che sento dire sempre più spesso soprattutto dai politici e che col tempo ha completamente perso di significato: inaccettabile. Non so come siamo riusciti a farne a meno negli ultimi trent'anni visto che il concetto, nonostante facilmente comprensibile e reperibile nella lingua italiana, non è mai stato troppo utilizzato. Invece da qualche anno a questa parte sembra siano aumentati i filtri in entrata un po' di tutti e quindi una proposta, un giudizio dal sen fuggito, un disegno di legge, una nomina per un'autorità indipendente, un titolo di giornale, un tono, un clima...tutto diventa improvvisamente inaccettabile. L'effetto immediato di questa inflazione nell'abuso dell'espressione è la sua completa perduita di significato e spesso cose che sembrano all'inizio inaccettabili col tempo ci sembrano normali e cominciamo a chiederci come abbiamo fatto a farne a meno. Ma il fatto è che se prima la politica era per definizione l'arte del possibile dove schieramenti contrapposti erano spesso chiamati a decisione comuni, negli ultimini anni è tutto diventato troppo estremistico, almeno all'apparenza. Non si può riflettere, discutere, provare ad emendare, tutto ciò che arriva dall'altra parte politica è semplicemente inaccettabile. La conseguenza linguistica di questa contrapposizione non solo è nel termine che adesso si analizza, ma anche in altre due espressione tipiche di rivali contrapposti: "assolutamente" e "senza se e senza ma". La prima espressione è spesso usata con una negazione per chiudere ogni speranza all'avversario o in senso negativo per affermare con sempre maggiore forza il nostro punto di vista senza che minimanete ci sfiori il dubbio di essere in errore. I più temerari la usano addirittura da sola, dando così l'impressione di non avere un'idea precisa dell'argomento che si sta trattando ma semplicemente di avere una convinzione forte. Il gioco delle parti successivo servirà all'indeciso a comprendere meglio contro chi schierarsi (non ci si schiera mai "per", sempre "contro" qualcosa o qualcuno). Il "senza se e senza ma" invece nasce dalle esperienze del centro sinistra italiano che da anni prova a far convivere un'anima sinistroide e progressista senza spaventare troppo un centro moderato e liberale (in pratica il P.C.I da solo non è mai andato al governo, ci siamo riusciti solo con gli ex D.C. che erano rimasti senza partito e senza voti). Col tempo l'espressione è stata utilizzata per qualsiasi tipo di argometo e, come spesso accade per i termini più in voga, spesso, troppo spesso, a sproposito. Ma questo è un argomento strettamente connesso col "teatrino della politica"...ooops un'altro neoligismo di cui è meglio occuparsi in seguito.


martedì 23 novembre 2010

Bohemian rhapsody



Anticonformisti, creativi, dalla vita dissoluta, fuori da qualsiasi schema e catalogazione sociale. Passano alla storia con questo nome in Francia durante il XIX secolo e ancora oggi si associa il loro stile di vita a quello dei gitani, appunto bohemien. Ne ho visto uno un giorno mentre camminavo per le strade della mia città. Era in giro con la moglie e la figlia, altissimo, sigaretta ben piantata tra le labbra, tono della voce bassissima, quasi impercettibile. L'avevo visto in televisione per diversi anni, era un allenatore di calcio. Era stato protagonista di una specie di miracolo in una piccola città del sud Italia. Con il suo talento aveva portato un manipolo di uomini appena giunti al professionismo dalle nebbie della serie C fino alla serie A. Tanti di quelli avevano fatto la fortuna di squadre super blasonate e anche della nazionale. Quell'improvvisa popolarità lo aveva portato a dirigere prima la Lazio e poi la Roma. Poi un giorno mise in vetrina i mali del calcio delle farmacie e da allora il sistema al quale si era opposto ha fatto di tutto per cacciarlo via, riuscendoci. Non mi è mai piaciuto particolarmente come allenatore. Il suo mdod di vedere il calcio come spettacolo puro è molto affascinante, ma alla fine un po' avaro di risultati e se sei un tifoso delle sue squadre sai che prima o poi la delusione è dietro l'angolo ed è molto difficile vincere col suo modo di giocare. Mi ha sempre però affascinato il suo essere fuori dagli schemi, amante fino alla follia del calcio, grande maestro di calcio e con una passione infinita per il lavoro che fa. E' quasi impossibile sentire parlare male di lui da un giocatore che ha allenato. Tutti infatti gli conferiscono grandi doti umane e una capacità tecnica non comune. In spagna per un tipo così hanno un'espressione perfetta: hombre vertical. Nel calcio come nella società di oggi ci vorrebbero centinaia di uomini come lui, di quelli che ti insegnano a pensare con la tua testa e a metterti contro ai sistemi autoreferenziali precostituiti, nei quali le voci fuori dal coro sono una minaccia perchè evidenziano ciò che è sotto gli occhi di tutti ma che a nessuno conviene svelare. Oggi il boemo che incontrai un giorno a spasso allena ancora, di nuovo nella piccola città del Sud. Bentornato Zdenek.


lunedì 22 novembre 2010

Gli incubi e il sogno*



Mettiamo da parte e conserviamo questo numero de l'Unità. Ci sarà utile nella vecchiaia quando racconteremo ai nipoti questi giorni di follia e loro ci guarderanno con gli occhi a palla come noi da piccoli guardavamo i nonni quando ci raccontavano le storie delle streghe e dei fantasmi. Il trascorrere del tempo semplifica i fatti, li ischeletrisce, e dunque racconteremo la favola nera di un miliardario sessualmente incontinente che venne quasi annientato dalla passione per una ladruncola marocchina e misteriosamente trovò sostegno in un partito politico che aveva fatto fortuna proprio chiedendo l'arresto dei ladri e l'espulsione dei marocchini. Ed ebbe anche la solidarietà di un suo vecchio amico fedele, l'aveva nominato senatore, che aveva collaborato con un'organizzazione criminale potentissima, Cosa Nostra, con la quale lo stesso miliardario aveva avuto rapporti all'inizio della sua carriera. Poi aggiungeremo che la nipote di Benito Mussolini, sì quel dittatore caduto rovinosamente un secolo fa, litigò con un leader politico che un tempo era stato un acceso fan del nonno ed alleato del miliardario, e sfogò la sua ira contro una ex soubrette che, per volere del miliardario, era diventata ministro. E che la situazione divenne alquanto confusa quando l'ex soubrette annunciò che si sarebbe dimessa dal governo perché la nipote di Mussolini l'aveva sorpresa a chiacchierare con un altro ex fan del nonno che si chiamava Italo Bocchino. Ecco, a quel punto i nipotini smetteranno di ascoltarci, chiameranno il medico, e sarà allora che il numero de l'Unità ci sarà utile. «È tutto vero! È tutto vero!» potremo gridare sventolando questa copia ormai ingiallita. Poi, come accade ai vecchi quando i ricordi sono troppo dolorosi, scoppieremo in lacrime. E lasceremo cadere il giornale per terra.A quel punto il più curioso e perspicace tra i nostri nipotini lo raccoglierà, comincerà a sfogliarlo e tirerà un sospiro di sollievo: tutto vero, nonno non è uscito di testa. Ma poveretto, che schifo di giovinezza... O forse no? Il nipotino continua a sfogliare sempre più incuriosito. Il nonno è ancora vivo, e dunque quel paese di matti è tornato alla normalità entro l'arco della durata della vita umana. Forse nemmeno allora era tutto da buttare. Toh, c'era un partito che sosteneva delle cose sensate, le propagandava parlando con la gente ed eleggeva i suoi dirigenti con elezioni aperte a tutti. Ed esistevano gruppi, associazioni, individui che non si arrendevano e protestavano contro quel governo che toglieva ai poveri, agli handicappati le risorse per sopravvivere. E c'erano decine di migliaia di persone capaci di mobilitarsi in poche ore per difendere la democrazia. O l'onore di uno scrittore coraggioso che, minacciato di morte dalla mafia, in quei giorni era stato infangato dai giornali del miliardario incontinente. Come si chiamava quel giovane scrittore? Roberto Saviano. Curioso - si domanda il nipotino - forse è un omonimo di quell'altro vecchio, anche se un po' più giovane del nonno, che oggi è il capo dello Stato?
Ps. I bei sogni sono il migliore antidoto contro gli incubi.


* Giovanni Maria Bellu, Gli incubi e il sogno, L'Unità, sabato 20 Novembre 2010



Shamrock




C'era una volta un paese in cui tutti volevano andare ad investire perchè aveva un regime fiscale tra i più vantaggiosi in Europa. Era quasi un paradiso fiscale senza rientrare in nessuna lista nera. Era portato ad esempio dalle cancellerie di tutto il mondo. Mi ricordo che ai tempi in cui ho scritto la mia tesi di laurea dicevo che di lì a poco si sarebbe iniziato un grande programma di investimenti in quel paese che nel giro di pochissimi anni avrebbe riportato il PIL pro-capite a livello dei più prosperi stati dell'Unione. Mi ricordo che le politiche alla base di quello sviluppo economico si volevano esportare persino nel Sud Italia, creando di fatto una sorta di Stato a due velocità nel quale il Sud avrebbe potuto beneficiare di investimenti esteri grazie alla fiscalità di vantaggio. Ricordo che nel corso del tempo avevo letto anche un reportage su quel paese, in cui si metteva in evidenza come, da ormai quasi dieci anni, il tasso netto di immigrazione fosse diventato addirittura positiva. Cioè, mentre in passato i giovani nati in quel verde paese, a causa della mancanza cronica di posti di lavoro erano costretti ad emigrare per lo più negli Stati Uniti e in Australia in cerca di fortuna e agevolati dalla lingua comune, negli ultimi anni si era regisrato un aumento del numero di immigrati provenienti da altri paesi europei (molti anche dall'Italia) mentre i flussi in uscita erano a livelli assolutamente fisiologici. Ricordo di esserci anche stato in quel paese e di aver notato nella gente che vi vive una sorta di rispetto per i tempi andati, per la fame patita da genitori e nonni e per la tristezza data dai mille racconti di emigrazione di parenti e amici. Il tutto nonostante la situazione economica fosse notevolmente migliorata. Non sembrava una popolazione in preda all'euforia per l'improvvisa ricchezza, dedita al lusso sfrenato e abituata a vivere al di sopra delle proprie possibilità. Un bel giorno a cavallo tra l'anno 2008 e il 2009 l'incantesimo è sembrato essersi spezzato e adesso il paese sta attraversando la peggiore crisi economica degli ultimi trent'anni. Anche in quel paese, come in gran parte dell'Europa anglosassone (dal Regno Unito all'Islanda) le banche si sono avventurate in spericolate speculazioni finanziarie e l'intervento governativo per evitatre una irreversibile crisi di sistema ha fatto schizzare a livelli altissimi il deficit e il debito pubblico. L'effetto immediato è stata una tensione sui mercati finanziari che scommettono sull'impossibilità del Governo di fare fronte agli impegni finanziari assunti. Ieri finalmente il governo di questo paese ha deciso di accettare gli aiuti dell'Unione Europea che dopo aver salutato il miracolo del trifoglio deve fronteggiare il rischio di soffocare l'Euro dopo appena dieci anni di vita.


mercoledì 17 novembre 2010

Lo chiamerei Anna



Si, proprio così lo chiamerei Anna e gli darei anche il cognome, difficile da pronunciare in italiano, Politkovskaja. Gli darei, anche se è un maschio, il nome di una donna che ha provato ogni giorno a cambiare la vita sua e dei suoi connazionali, facendo l'unica cosa che poteva e sapeva fare: scrivere e raccontare. E che per questo è stata barbaramente ammazzata mentre rincasava dopo aver fatto la spesa. ah a proposito, il soggetto di questo post è un cane. E sì perchè in questi giorni in Russia è stato lanciato una sorta di referendum popolare per dare un nome a un cucciolo di Karakachan che è stato regalato al presidente russo Putin durante la sua ultuma visita in Bulgaria dal suo omologo Borisov. Proprio così, nel paese in cui solo poche settimane fa è stato assassinato un giornalista perchè era dichiaratamente anti-governativo e stava indagando sulle oscure trame di certi oligarchi del regime russo, si scatena un'orda di messaggi per dare il nome ad un cagnolino che il padrone già chiamava Yorgo ma poi ha deciso di scatenare questa consultazione popolare perchè non ne era troppo convinto. Non so cosa mi sia scattato quando ho letto questa notizia. La reazione, sulla quale è meglio soprassedere, è la stessa che provo ogni volta che sullo schermo della TV o del pc appare il volto che non deve chiedere mai dell'ex colonnello del KGB. Chissà in quanti stanno rispondendo all'appello del presidentissimo. Il nostro del resto è molto amato in patria, o almeno così gli piace credere. Basti pensare che qualche tempo fa è stato omaggiato di un calendario tutto dedicato a lui pieno di belle fanciulle in abiti succinti. Un altro regalo, dopo quello che gli avevano fatto, per il suo cinquantaquattresimo compleanno, il 7 ottobre del 2006, il giorno in cui gli tolsero di torno Anna. 


martedì 16 novembre 2010

Roditori



E' prerogativa dei grandi riuscire a gioire dei successi altrui. Quasi per contrappasso, invece, sono i mediocri a rimanerci male, a cercare il pelo nell'uovo, a dire, beh, in fondo cosa c'è di tanto straordinario? Se solo avessi voluto ce l'avrei fatta anch'io! Succede a scuola come nella pallastrada, agli esami della patente e con le ragazze, nel buttarsi col paracadute come nel vincere un concorso in Banca d'Italia o riuscire ad avere un posto di lavoro particolarmente ambìto. Nella città in cui vivo hanno un termine preciso per i tipi che considerano le vittorie altrui come proprie sconfitte: i rosiconi. Lasciando da parte i tifosi delle squadre di calcio che in quanto tali soffrono di turbe psichiche, l'immagine che ci restituisce questo termine è quella di un pover'uomo che nel silenzio della sua solitudine rimugina all'infinito su ciò che poteva essere e non è stato. Egli si apparta perchè in pubblico non può esternare tutto il proprio risentimento: verrebbe subito additato come un roditore e il nostro eroe invece ci tiene a rimanere al di sopra di ogni sospetto. Il rosicone è colui che in fondo è accecato dalla propria personalità ed ha una fede smisurata nelle proprie capacità. Per questo non riesce a vedere gli altri e pensa che dietro i loro successi si nasconda sempre una truffa, una raccomandazione, una botta di fortuna o più semplicemente la totale ignoranza del pubblico che non riesce a capire la mediocrità dei soggetti e per questo ne fa degli eroi. Il bello è che la categoria dei rosiconi prescinde dalle effettive capacità dei soggetti che ne sono colpiti e può assumere le sembianze di ognuno di noi ed avere come antagonista chiunque: dal compagno di banco al grande attore, dal calciatore che fa vincere da solo il campionato del mondo alla propria nazionale allo scrittore che in una sera di Novembre tiene inchiodati davanti alla televisione 9 milioni di telespettatori su Raitre. Il rosicone sta lì, col ditino puntato in alto con l'aria di chi pensa che in fondo lui non è riuscito ad andare in TV e ad avere il grande successo perchè il pubblico, troppo mediocre, non è ancora pronto per il suo registro narrativo. Forse pronto davvero non lo sarà mai, magari scopre che il rosicone è pure incapace.


giovedì 11 novembre 2010

Warning



Leggo dai giornali che pochi minuti fa è morto, dopo un mese di coma, il tassista di Milano che aveva investito e ucciso un cagnolino e per questo era stato trascinato fuori dall'auto e picchiato selvaggiamente. In questi momenti mi vengono in mente i famigliari che forse già da un pezzo avevano perso le speranze di rivedere in piedi il loro congiunto, ma che si porteranno dentro tutta la vita il senso di ingiustizia per una morte così futile e così brutale. Questo flash di agenzia mi ha fatto affiorare un ricordo del mio passato che in certi momenti riemerge nella mia mente. E' come se ogni tanto il mare restituisse alle rive i relitti di una nave naufragata o il corpo esangue di un pescatore che, dopo essersi dibattuto invano tra le onde, viene trascinato a riva, stremato e privo di vita, da correnti pietose. Era una sera molto buia e ricordo che in quel periodo lavoravo in centro. Aveva cominciato a piovere da qualche ora e quando mi sono messo sul motorino sembrava non avere nessuna intenzione di smettere. Ricordo che andavo un po' di fretta perchè una mia amica mi aveva invitato alla sua festa di compleanno. Non avevo molto tempo. Dovevo tornare a casa, fare una bella doccia per torgliermi di dosso tutta l'acqua che mi stavo prendendo e provare ad arrivare in tempo al locale coi mezzi pubblici. Mi ricordo che mi misi sulla punta del sellino, con la faccia dietro il parabrezza per cercare di ripararmi il più possibile dalla pioggia. Il fatto è che le gocce che si formano sul parabrezza non ti permettono di vedere bene e sgranano tutte le immagini. Stavo percorrendo una strada particolarmete stretta e buia, con a terra i sampietrini. I centauri abituati a muoversi sotto la pioggia per le strade della capitale sanno di cosa parlo. Una lunga striscia viscida e molto scivolosa, peggiorata dalle foglie secche cadute dagli alberi e dalla vernice delle strisce pedonali e della segnaletica orizzontale. Proprio mentre attraverso una striscia pedonale sento un colpo sordo. In un attimo mi trovo sbalzato dal sellino, perdo l'equilibrio e prima di rendermene conto mi ritrovo con le ginocchia a terra e con le gambe completamente fradicie. Un attimo dopo ti vedo un uomo col suo cane che sembra non essersi accorto di niente. Ho preso il cane. Fortunatamente solo di striscio. Subito capisco perchè non li ho visti: sono completamente neri sia il cane che il padrone, sembrano un fumetto e nell'oscurità di una sera da lupi non mi sono affatto accorto della loro presenza. Dopo esserci assicurati che il cane sta bene, ce ne andiamo ognuno per la sua strada. Non ho mai capito se fossero veri o solo un avvertimento. Fatto sta che ogni volta che scende la pioggia la mia attenzione raddoppia, la leva del tachimetro resta bassa e cerco di avere sempre una visuale chiara della strada e di chi la frequenta.


lunedì 8 novembre 2010

Ma il resto è veramente noia?



La legge Bacchelli, istituita nel 1985 assegna un vitalizio a tutti gli artisti che attraverso le loro opere hanno dato particolare lustro al Paese nel campo delle arti, della letteratura e della canzone. Il primo a ricevere l'assegno è stato lo scrittore del quale porta il nome che purtroppo non ebbe modo di beneficiarne a sufficienza in quanto morì solo due mesi dopo l'istituzione dell'apposito fondo. Franco Califano invece è uno tra gli autori più prolifici e poliedrici della musica italiana. Romano, completamente fuori dagli schemi, arrestato due volte e altrettante volte rilasciato per possesso di sotanze stupefacenti. E' un po' meno famoso come cantante, dato che la sua voce non è proprio cristallina. Ha anche partecipato ad alcuni film di dubbio gusto e altrettanto successo. Allora succede che il nostro eroe attualmente versa in una situazione economica a suo dire difficile, aggravata dal fatto che negli ultimi mesi non può più fare serate in seguito ad una caduta che lo ha allettato e che lo obbliga a servirsi delle cure prezzolate di assistenti. Nel chiedere il contributo, però, commette un errore dovuto alla solita spavalderia, sfrontatezza, forse delirio di onnipotenza o più prosaicamente mancanza di intelligenza: ammette di aver sperperato un patrimonio. Dice che nella sua vita ha avuto più di mille amanti e che per ognuna di esse non si è mai fatto mancare i migliori alberghi e ristoranti in giro per il mondo. Ammette candidamente che ogni volta che un'azienda automobilistica varava un nuovo modello di fuoriserie c'era sempre un esemplare riservato a lui e lo stesso avveniva con le moto. Inoltre afferma che la SIAE ogni sei mesi gli stacca un assegno da diecimila euro, non proprio una pensione sociale, alla quale in ogni caso ha diritto per raggiunti limiti di età. Insomma una vita sul filo del rasoio, nella consapevolezza che davvero tutto il resto, cioè noi, la nostra vita mediocre, i nostri lavori noiosi, i nostri stipendi magri, le nostre pizze al sbato sera, il prosecco per le feste, la macchina nuova ogni cinque anni e le nostre pensioni a Riccione per le vacanze estive, è noia. E adesso pretendi che quattro noiosi sfigati, invidiosi e rancorosi ti diano i loro spiccioli per le tue noiose minestrine?


venerdì 5 novembre 2010

Un uomo solo al comando




Questa è l'espressione utilizzata dal giornalista Ferretti per descrivere una delle innumerevoli vittorie epiche del grande Fausto Coppi. Storie di ciclismo, di momenti in cui la solitudine non è soltanto uno stato dell'animo, ma la consapevolezza di avere delle doti uniche e riuscire a sviluppare un passo che nessun altro corridore è in grado di tenere. A proposito di solitudine mi viene in mente anche la storia di certi allenatori di calcio che nel momento di difficoltà della loro squadra sono i primi a scendere in sala stampa a fare da parafulmine per le critiche nei confronti dei loro ragazzi. Sono gli stessi uomini che, nel momento del trionfo, preferiscono eclissarsi, uscire dalla scena, perchè in fondo sanno che il successo è una merce ad essi riservata, la logica conseguenza di tanti sforzi profusi nel corso di mesi e mesi di lavoro. L'immagine al negativo dell'uomo solo all'apice del successo mi è venuta in mente mentre scorrevo le cronache di queste giornate di fine regime. Ho come l'impressione che un dio osannato negli ultimi anni, considerato invincibile , da se stesso prima che dalla sua corte, sembra aver perso il carisma dei giorni e non essere più in grado di esercitare il ruolo di stella cometa per un'intera parte politica. Va anche detto che negli ultimi mesi l'uomo in questione non ha fatto altro che innalzare il livello dello scontro e qualsiasi buon proposito di riconciliazione con gli amici di un tempo sembra essere naufragato nella convinzione di stare nel giusto, costi quel che costi. Scontri di questo tipo, specie in politica, tendono a polarizzare le opinioni e spesso chi ti è amico, diventa ancora più intimo e solidale nei tuoi confronti. Tutto questo però, stando alle vicende degli ultimi giorni, sembra avere un limite, oltrepassato il quale, anche i sodali più vicini cominciano a voltarti le spalle, ad avere cioè la sensazione che il leader si sta isolando, di fatto sta scavandosi la fossa. Fino a qualche tempo fa non quasi mai successo di registrare in stretta sequenza i distinguo di ministri, editorialisti, maggiorenti di partito e semplici peones, che piano piano, stando abbandonando il capo alla sua sorte. Il bello è che queste fughe non sono dovute a motivi ideologici o a una netta presa di posizione contraria al capo, ma solo all'opportunismo e alla speranza di trovarne un altro, più disposto alla sopravvivenza e alla condivisione dei successi. Non sanno che i veri leader si caricano sulle spalle i destini della storia e, nel bene o nel male, anche nella sconfitta preferiscono chinare la testa piuttosto che avere un'inutile spalla su cui piangere.


mercoledì 3 novembre 2010

Il migliore amico dell'uomo




E' da un po' di tempo che mi capita di chiedermi se gli uomini sanno prevedere la sconfitta. L'esempio classico è ciò che capita con alcuni animali nel caso di terremoti. Si dice che, specialmente i cani, dato che sono in grado di percepire gli ultrasuoni, alcune ore prima del verificarsi di una scossa dimostrino nervosismo e non riescono a stare fermi. E' un'ottima dote questa dei cani e, se ben studiata e utilizzata dall'uomo potrebbe evitare gli effetti disastrosi dei movimenti tellurici. Negli stessi termini potrebbe essere utile, specie per certi "animali" che popolano la scena pubblica, riuscire a prevedere un repentino rovesciamento della realtà. Chissà che aria si respirava a Roma intorno al 476, quando finì l'impero che aveva dominato per diversi secoli su gran parte delle terre conosciute. Chissà se ci si preparava alla fine nella umida e afosa estate del 1789, quando colava a picco non solo una delle monarchie più sfarzose e spocchiose del XVIII secolo ma forse un'idea di governo autoreferenziale i cui poteri derivavano dagli dei e non avevano alcuna corrispondenza con il popolo e con lo stato. Chissà che brutta aria c'era a Berlino quasi completamente rasa al suolo dai carri armati russi nella primavera del 1945, quando fu chiaro persino alla lucida follia di Hitler che era finita un'epoca o quando, pochi giorni prima, il suo degno collega Mussolini venne catturato mentre tentava un'ultima fuga per le Alpi, prima di essere barbaramente ammazzato a piazzale Loreto insieme alla moglie. Era agosto nel 1947 quando cominciò, con l'indipendenza dell'India, la dissoluzione dell'impero inglese, il più grande per estensione geografica. Da allora la potenza europea non ha più rivissuto gli antichi fasti che ne hanno fatto una protagonista assoluta della storia del diciottesimo e del diciannovesimo secolo, anche se non è stata una vera e propria disfatta, visto che lì ancora regna la stessa famiglia da secoli. Era sempre agosto, nel 1991, quando alcuni nostalgici dell'Unione Sovietica tentarono un colpo di stato, contribuendo di fatto alla fine dell'esperienza comunista iniziata nel 1917 con la Rivoluzione d'Ottobre. Gorbaciov forse allora si rese conto che tutto stava per finire e che il progetto riformista e di rivoluzione morbida che aveva iniziato pochi anni prima stava fallendo, lasciando il campo a forze che, dietro una parvenza democratica, avrebbero instaurato un regime altrettanto autocratico non più dominato dall'ideologia socialistà ma dalla totale devozione al danaro e al potere fine a se stesso. Era settembre invece quando una bella mattina i super manager della Lehman Brothers, seduti sugli allori di una storia lunga quasi 160 anni, si presentarono nei loro uffici lussuosi nel grattacielo affacciato su Times Square, inconsapevoli che nel giro di poche ore ne sarebbero usciti senza lavoro e senza un dollaro. Stringevano tra le mani solo una scatola marrone piena di sogni infranti e di dubbi che forse tutti i soldi accumulati in quegli anni non avevano permesso loro di osservare attentamente l'orlo del baratro che a poco a poco si avvicinava. Avremmo da imparare tanto dai cani, dalla loro smania, dal loro attaccamento alla vita e dal tentativo disperato di segnalare a se stessi e a chi li circonda che la fine è vicina. Ma non è il caso di certi eroi contemporanei che, forse ancora invischiati nell'orgia del potere, non si rendono conto che il tempo sta per scadere e che i quadrupedi ai loro piedi ormai da ore si muovono all'impazzata e provano a riportarli alla realtà della sconfitta imminente. A Roma oggi fa abbastanza caldo, è una bella giornata e pare che il tempo regga tutta la settimana. Nessuno penserebbe che siamo alla fine di sedici lunghi anni di regno pressoché incontrastato di un uomo solo. Oggi forse troppo solo. Speriamo.

venerdì 29 ottobre 2010

Ripassatine



Ci sono casi in cui il semplice annuncio di un provvedimento vale molto più di tante azioni concrete. L'esempio classico è quello della moral suasion degli organi di politica monetaria. In genere un annuncio di un governatore centrale, se stimato e considerato credibile dalla comunità finanziaria, vale molto più di una politica attiva sui mercati finanziari tipo variazione dei tassi di interesse o manovre in mercato aperto per la protezione di una valuta o del debito pubblico di un Paese. A volte qualsiasi azione di un'istituzione finanziaria anche se massiccia, se non corroborata dalla fiducia degli investitori, non ha alcun effetto e il crollo è inevitabile. Prova ne sia quanto accaduto durante l'ultima crisi dei sub-prime del settembre del 2008. Ieri sera, nonostante si tratti di contesti completamenti diversi, ho avuto la riprova del fatto che la perdita di credibilità può far crollare qualsiasi tentativo di progetto ancorchè meritorio. C'era in televisione il capo della protezione civile che parlava delle azioni da intraprendere per risolvere l'ennesima crisi dei rifiuti in Campania. Fino a qualche mese fa, costui era considerato una specie di superman, anche perchè aveva dalla sua parte una certa trasversalità dal momento che aveva lavorato con governi appartenenti agli opposti schieramenti politici. Dovunque arrivava, veniva accolto come una specie di salvatore della patria, una persona in grado di risolvere qualsiasi problema, anche al di là dei suoi effettivi meriti. E così dall'emergenza rifiuti di Napoli al terremoto dell'Aquila, dal G8 fino alla piena del Tevere, la sua polo coi bordi tricolori, lo sguardo deciso e l'indubbia capacità esplicativa avevano fatto pensare a tanti di trovarsi finalmente di fronte ad una persona perbene e soprattutto capace. Non era così. La monnezza a Napoli sta ancora lì a ricordarci che il maquillage dei primi tempi era solo una soluzione tampone che aveva allontanato il problema non risolvendolo. Basta una passeggiata per le strade dell'Aquila a ricordarci che diciotto mesi sembrano essere trascorsi invano. Poi la gente ancora dispersa negli alberghi dell'Abruzzo, le nuove casette fatiscenti e costosissime hanno fatto capire a tanti suoi sostenitori che era tutto un bluff e che il capo della protezione civile era l'ennesimo incapace messo lì a prestare la faccia plastica dell'efficienza governativa mentre alle sue spalle,  e molto spesso con la sua complicità, si compivano i miracoli dell'incompetenza e del malaffare. Eppure, nonostante l'evidente fallimento della sua azione, era rimasto ancora lì a spiegare, a spaccare il capello in quattro, a difendersi con una certa autorevolezza e credibilità. Poi sono venuti i tempi delle intercettazioni e lo abbiamo sentito contattare una massaggiatrice per una "ripassatina" o imprecare perchè non si trovavano i preservativi (a cosa servano i preservativi in un massaggio per il mal di schiena resta ancora un mistero). Poi abbiamo letto le interviste del proprietario di una casa da lui affittata nel centro di Roma, sicuramente per altre "ripassatine", che afferma che l'affitto, in ritardo anche di qualche mese, veniva pagato non da lui ma da persone riconducibili a ditte che lavoravano con la protezione civile e che avrebbero anche fatto la ristrutturazione della sua casa. Naturalmente gratis. E infine siamo giunti a ieri sera. Quest'uomo un tempo autorevole, che viene attaccato da chiunque ha in mano un microfono, dall'ultimo manifestante di Terzigno ai giornalisti seduti al suo fianco. Le parole da lui pronunciate, alla luce di quelle intercettazioni, suonavano false, prive di credibilità e di significato, contribuendo a restituirci l'immagine autentica di un fallimento.


giovedì 28 ottobre 2010

Ditegli sempre di sì




E' un po' di tempo che le televisioni italiane, sia pubbliche che private, stanno prendendo la brutta abitudine che in un detto popolare si attribuiva alle donne costrette a vendersi per danaro, ovvero piangono e concupiscono. Prendiamo ad esempio il caso di una giovane ragazzina uccisa barbaramente da parenti molto prossimi. Tutti i commentatori da giorni sono pronti a sostenere che è sbagliata questa intrusione a gamba tesa vita familiare della vittima, questa televisione che guarda dal buco della serratura e che dà modo a pseudo-professionisti da tre soldi di trarre conclusioni processuali sulla colpevolezza degli indagati in base ad un movimento di sopracciglio o all'inclinazione della voce. Salvo poi ricredersi il giorno dopo alla comparsa di una nuova rivelazione giornalistica. Non va dimenticato peraltro che questo macabro spettacolo, che ha avuto il suo prologo con la rivelazione alla madre in diretta televisiva  del ritrovamento del corpo della figlia scomparsa da mesi e del contemporaneo arresto del cognato, ha portato negli ultimi tempi ad una forma di turismo voyeuristico che ha fatto aumentare sensibilmente le presenze nel piccolo centro tarantino, tanto che il sindaco ha deciso di chiudere durante il fine settimana le strade in cui si sarebbe consumato il delitto. E fino a qui, per rimanere nella metafora di cui sopra, saremmo al pianto. Il fornicamento invece sta nell'affermazione secondo cui gli autori e i giornalisti dei programmi e delle reti coinvolte mandano in onda ciò che a loro non piace solo perché è il pubblico che glielo chiede. E così una trasmissione generalmente dai bassi ascolti come Matrix, un tempo pregevole creatura del più grande giornalista televisivo italiano, l'altra sera ha fatto quasi il 40% di share. E allora bisogna dare alla platea ciò che essa vuole e non solo a teatro. E' come se un professore dicesse che lui vorrebbe fare lezione, vorrebbe far svolgere i compiti in classe, vorrebbe pure interrogarli ogni tanto, ma i suoi studenti gli chiedono di continuare a giocare a battaglia navale o a "cose, città, animali..." e lui li lascia fare perchè ci tiene molto ad essere amato dai suoi alunni. Oppure  è come se un cartomante dicesse che è sbagliato prendere in giro la gente consegnando essa del sale marino da far sciogliere in acqua per allontanare il malocchio, ma la gente vuole illudersi, vuole sentire per un attimo di avere in pugno il prorpio destino e soprattutto si presenta numerosa con l'assegno in bocca e allora ci vuole pur qualcuno che gli dia ascolto. E' come se un presidente del consiglio dicesse che è sbagliato illudere i propri elettori promettendogli posti di lavoro e millantando soluzioni immediate a crisi economiche ed ambientali, ma i suoi spettatori-elettori gli chiedono questo, vogliono questo e lui è lì pronto ad esaudire tutti i loro desideri. Non è forse per questo che l'hanno eletto?

martedì 26 ottobre 2010

Dizionario dei tempi




Gli anni che stiamo vivendo probabilmente non ci lasceranno niente di buono sul piano politico economico e sociale, forse solo una grande voglia di dimenticarli e di ripartire. Tra le cose più negative, però, ci porteremo dietro l'abuso di nuove forme lessicali, di parole che suonano molto bene foneticamente ma che spesso sono prive di significato e di aderenza alla realtà. A che serve usare milioni di volte da parte del responsabile alla protezione civile l'espressione "Messa in sicurezza"? Si pensi a due contesti in cui l'espressione è stata utilizzata: il terremoto dell'Aquila e la questione dei rifiuti della provincia di Napoli. A che serve dire che il centro dell'Aquila, i piccoli paesini circostanti, migliaia e migliaia di casette sono state appunto messe in sicurezza se ormai in quei luoghi tutto odora di morte e di desolamento. In sicurezza da chi? Da cosa? Se tutto è finito chi beneficerà di questa sicurezza? Soprattutto a che serve tanta enfasi se tutti sanno che se sopravvenisse un nuovo sciame sismico come quello di un anno e mezzo fa tutto sarebbe raso al suolo? E allora Perchè usare questa espressione? O ancora: a che serve dire che la cava Vitiello di Terzigno è stata messa in sicurezza se la gente continua a tenere le finestre barricate per evitare di respirare i miasmi putrescenti che escono da quel sito, oppure la gente passa le notti intere a dare fuoco ai camion che provano a sversare nella cava o ancora se il tasso di incidenza di alcune forme tumorali è quasi doppio rispetto al resto del territorio nazionale? Eppure il nostro eroe è riuscito a pronunciare l'espressione ben due volte ieri sera, mentre assumeva un'espressione che avrebbe dovuto infondere sicurezza nella popolazione, mentre appariva solo come lo specchio dell'ennesima promessa non mantenuta. Si pensi poi al termine "Zona Rossa". Fa la sua comparsa per la prima volta durante il G8 del 2001 di Genova per identificare la zona invalicabile che doveva fare da cuscinetto tra le aree dedicate alle manifestazioni di contestazione e la superficie occupata dai "grandi" della Terra. La stessa espressione ritorna dieci anni dopo in occasione del terremoto. In questo caso si tratta di identificare l'area del centro storico dell'Aquila dove è vietato l'ingresso della popolazione a causa del pericolo di crolli. In entrambi i casi si tratta semplicemente di creare una zona d'ombra per impedire alla gente di sapere e ai giornali di raccontare l'immobilismo del presunto fare, allora dei capi di stato del G8, oggi dei soloni del governo e della protezione civile. Concludo momentaneamente questo piccolo vocabolario dei nostri tempi col termine "Lodo". Nelle controversie contrattuali si tratta di una soluzione arbitrale in cui un saggio, nominato all'uopo alla stipula del contratto o successivamente, ratifica l'accordo tra le parti, senza ricorre alla giustizia civile. Oggi il termine viene utilizzato per identificare una o più soluzioni legislative che hanno un solo obiettivo: l'impunità del capo del governo. Non riesco proprio a capire se usare le parole in questo modo serva a prendere in giro chi ascolta o a provare a conferire nobiltà a delle schifezze inenarrabili.


giovedì 21 ottobre 2010

Ora d'aria



Quando si dimette un personaggio coinvolto in uno scandalo giudiziario si ha sempre l'impressione che l'azione di tante valide persone non sia vana. La magistratura non c'entra niente, i soggeti in gioco sono altri. E' come se in quel preciso momento si affermasse il ruolo fondamentale dell'informazione e di tutti quegli organi preposti alla sorveglianza del potere. In casi del genere la magistratura ha un ruolo solo apparentemente determinante, è piuttosto l'indignazione della popolazione che porta il singolo coinvolto in fatti penalmente rilevanti a non riuscire a reggere più il peso delle ombre alla propria onorabilità. Ma bisogna pur avercela una onorabiltà! Azioni di questo tipo non sottindendono necessariamente un'ammissione di colpevolezza e contribuiscono a riabilitare il dimissionario nonostante si sospetti o si accerti nelle sedi opportune che egli si sia  macchiato di delitti orrendi proprio perchè commessi nell'abuso di un potere. In un'epoca in cui alcuni politicanti o funzionari dello stato sembrano bearsi tronfiamente della propria impunità, casi del genere costituiscono un'eccezione che va salutata con enorme soddisfazione. In fondo se v'è ancora un'informazione che riesce a svolgere il ruolo di cane da guardia del potere, una platea di cittadini che ha ancora la forza di indignarsi e di considerare un delitto l'arroganza del potere, una minoranza di politici e grand commis che decidono di farsi da parte per affrontare meglio le loro controversie giudiziarie, c'è speranza che questa società possa rimettersi sul giusto sentiero della legalità. Oggi si è dimesso il Presidente della Corte d'Appello di Milano Marra, poco tempo fa aveva compiuto lo stesso gesto il magistrato Toro e ancor prima l'allora ministro Scaiola. Anche per loro il momento dell'addio sarà stato difficile, ma penso che un minuto dopo abbiano riempito i polmoni d'aria con un senso di leggerezza, il loro cervello ha cominciato ad ossigenarsi e a prepararsi in maniera convinta a controbattere alle accuse a loro carico. Questo è un bel giorno non solo per chi si indigna, ma anche per chi è chiamato a rispondere di orrendi reati contro la collettività. 



mercoledì 20 ottobre 2010

R.I.P




R.I.P. è il titolo di un pezzo bellissimo del Banco del Mutuo Soccorso contenuto nell'album omonimo del 1972. L'ossessione che ho per l'oblio dopo la morte mi porta a richiederla anche per la gente che ho stimato sopra ogni cosa, soprattutto se si tratta di grandi intellettuali o di cantautori. In fondo per questi ultimi specialmente dovrebbe essere molto più facile il rispetto del silenzio dopo la morte, ci sono i loro pezzi e i loro scritti a ricordare che sono esistiti e quanto erano bravi. I timori degli esordi e gli episodi della loro vita più o meno spensierata trasudano da quelle pagine o da quelle note e qualsiasi aggiunta da parte di un profano che, inevitabilmente, ne sa meno dell'autore stesso non è altro che una brutta replica che infastidisce lo sguardo e rattrista l'animo. Altra cosa è la critica, ma i critici non commettono di questi errori, soprattutto quelli bravi conoscono i loro limiti di fronte ai grandi. Fabrizio De Andre se n'è andato un giorno di gennaio del 1999, il settembre dell'anno prima ci aveva lasciato Lucio Battisti, mentre il giorno di capodanno del 2003 è morto Giorgio Gaber. Con la morte di questi tre autentici fuoriclasse è iniziata la serie delle repliche non richieste e qualsiasi cantantucolo da strapazzo voglia un po' tirarsela in televisione, comincia a citare un loro pezzo, un verso delle loro poesie, o peggio comincia a cantarne qualche brano più o meno famoso. Il più delle volte si tratta di musicisti che appartengono a due categorie: quelli che, dopo un breve successo ottenuto magari un bel po' di anni fa e spesso per motivi ignoti anche a se stessi, hanno smesso di comporre o di scrivere o semplicemente di essere famosi e millantano rapporti più o meno amicali con questo o quell'altro mostro sacro; quelli che, invece, al contrario dei primi, non hanno nemmeno avuto il minimo successo, ma continuano ad inseguirlo andando in televisione da una vita, nonostante la canizie e la calvizie dovrebbero spingerli a più miti consigli.Per questi ultimi le cover dei cantautori succitati sono un modo per far vedere che in fondo un po' di musica ci capiscono pure loro, o solo il disperato tentativo di raccogliere un'eredità che i grandi, in quanto tali, non lasciano a nessuno. A questo si aggiunga, e dispiace constatarlo, anche un esercito di mogli parenti figli che con gesti un po' vomitevoli vanno in giro per i salotti televisivi a farsi intervistare da chiunque, col solo risultato di meritarsi, oltre una fetta consistente di diritti d'autore, un bel cazziatone nel giorno in cui dovesse capitare di rincontrare il caro estinto.


Etimologia


www.vauro.net

"Ma io non sono razzista!" è la frase, detta spesso con una punta di orgoglio mista ad astio, che mi capita di sentire con maggiore frequenza ogni volta che si comincia a parlare di un qualsiasi problema sociale. Prendiamo il traffico. Vivo in una città che da sempre, o meglio dagli anni Settanta, allorquando l'automobile è diventato un bene di consumo molto diffuso presso le famiglie italiane, combatte con il problema del traffico. O meglio con l'incapacità  e la mancanza di volontà dei suoi amministratori nel voler affrontare questo argomento. Spesso quando senti qualcuno che narra le sue gesta epiche nel cercare di districarsi in mezzo ai tentacoli di questa città infernale ti sembra di assistere alla testimonianza di un sopravvisuto ad una battaglia campale o di un abitante di una città industriale dei primi del Novecento infestata dalle cavallette. Il culmine lo si raggiunge quando poi si va all'estero e ci si rende conto che ci sono città che hanno il triplo degli abitanti e dell'estensione della nostra eppure sono riusciti col tempo a far convivere le diverse istanze di chi ha necessità di muoversi e di chi prova ogni giorno a sopravvivere allo smog e allo stress da spostamento, creando diverse soluzioni complementari o alternative. Trasporti sotterranei, disincentivi all'uso della auto private in favore dei mezzi pubblici, creazione di un ambiente ottimale per chi vuole spostarsi con mezzi propri non inquinanti come le biciclette oppure il progressivo spostamento degli uffici amministrativi o delle zone commerciali dai centri congestionati alle periferie costruite con criteri di efficienza e funzionalità. Siccome tutto ciò nella mia città non solo non esiste, ma ancora non si ha la più pallida idea di come cominciare a percorrere questa strada, l'altra mattina, all'estero, mi sono trovato ad affrontare questo argomento con un mio amico. Ad un certo punto della discussione che si svolgeva pacatamente nel contesto quasi idilliaco di  una tranquilla domenica mattina in una città piena di parchi e di gente coi bambini piccoli nei passeggini, mi fa:-La colpa del traffico nella nostra città è degli ebrei!- Io ho un balzo, mi tornano in mente gli anni Trenta, le vignette della propaganda nazista, il complotto demo-pluto-giudaico-massone, il protocollo sei savi anziani di Sion, il fatto che venendo egli da una città papalina non poteva essere altrimenti. Lui prova a dirmi che in realtà la colpa del traffico è dei commercianti che non vogliono la chiusura alle auto private del centro delle città e che questa categoria è costituita per lo più da ebrei (è una fesseria bella e buona anche questa, la comunità ebraica della mia città è costituita da circa 14.000 persone*, compresi vecchi e bambini, mentre sono presenti circa 44.000 esercizi commerciali**, come si vede, anche in questo caso, i luoghi comuni accrescono il pregiudizio e non aiutano a comprendere la realtà)  e altre menate del genere e poi, osservando il mio sguardo indignato, mi fa : "ma io non sono razzista!".



martedì 19 ottobre 2010

Roxanne



Vivo in una città completamente adagiata sull'acqua, i cui abitanti sono provengono un po' da tutto il mondo, visto che i miei antenati per secoli sono andati in giro e hanno riportato qui qualsiasi cosa di prezioso trovassero: dalle spezie ai tessuti, dalle pietre preziose agli esseri umani. I miei concittadini vivono in perfetta armonia tra essi e con l'ambiente e sembra che lo stress e la tensione tipiche di questi anni non li sconvolgano più di tanto. Certo sono agevolati da una società che già da decenni ha compiuto una battaglia libertaria e che difficilmente rinuncia agli spazi che le vengono concessi per rilassarsi e pensare tranquillamente ai fatti propri. Sarà pure che in una città piccola come questa non c'è nemmeno tanto bisogno di impazzire nel traffico, sarà che le biciclette sono il mezzo di trasporto più utilizzato e che la gente, sia che piova o ci sia il sole, sembra non curarsene affatto. Certo, il sole non è proprio dicasa da queste parti e ogni tanto il vento ci pensa a ricordarci che nel centro dell'Europa bisogna coprirsi bene o si è condannati a perenni raffreddori. Purtroppo in questi ultimi tempi di crisi stanno venendo alla ribalta diversi gruppi xenofobi e anti-islamici, ma credo che una società come la nostra che fa dell'accoglienza e del vivere civile un suo tratto distintivo, saprà in breve tempo contenere e superare questi sentimenti. E' anche una città piena di turisti che a volte sembrano essere sbarcati nel paese dei balocchi, ma sarebbe meglio stessero attenti: noi la libertà ce la siamo guadagnata a prezzo di decenni di sacrifici e di corse in avanti e repentini rallentamenti, loro invece, abituati come sono a sistemi sociali molto più puritani e proibizionisti, rischiano ogni volta l'overdose libertaria. Il cibo certo non è un granchè e ci sono troppe patate in giro, ma troviamo tutto quello che ci serve se vogliamo una dieta bilanciata e nei giorni di festa spesso ci ritroviamo a fare chilomentri in giro per i parchi immensi e pieni di verde. Ti saluto forte e spero di incontrarti un giorno. Ricevo questa lettera da una località dell'Europa centrale e non so perchè mi viene una gran voglia di fare le valigie.


mercoledì 13 ottobre 2010

...è un'idea come un'altra



Ieri sera me ne stavo andando bel bello in piscina mentre lasciavo mio fratello a guardare la partita Italia-Serbia. Prima di uscire, do un'ultima occhiata al televisore e all'improvviso vedo inquadrato un matto di nero vestito con tanto di passamontagna su una cancellata mentre taglia la rete che protegge il campo di gioco da eventuali lanci di oggetti (e sì, nel calcio succede anche questo!) ed i telecronisti che commentano le sue gesta. Poi comincia un lancio di fomogeni e altri oggetti incendiari. Dopo un po' si vede una corsa di caschetti azzurri della Polizia che si mettono di fronte alla curva occupata dai Serbi. D'improvviso mi viene in mente un'immagine di 25 anni fa, l'orario è lo stesso, la circostanza (una partita di calcio) pure, cambia la stagione e pure l'importanza della partita. Ma la sensazione è assolutamente la stessa: io che sto lì insieme a mio fratello e cerco di vedere una partita e due commentatori che mi narrano le gesta di quattro scalmanati che stanno facendo di tutto per rovinarmi la festa. Qulla volta finì molto peggio, almeno stavolta non ci sono morti, e soprattutto mi sono sotratto allo strazio dell'attesa perchè me ne sono andato in piscina. In meno questa volta c'è anche l'inutile parata dei gendarmi a cavallo. Allora fu uno spettacolo davvero ridicolo e a suo modo indimenticabile. In questa occasione almeno i gendarmi si muovono a piedi rendendo la scena un po' più verosimile. Oggi poi leggo sul giornale di accuse al ministro dell'interno, al questore e al prefetto di una città che mi riporta di nuovo a ricordi brutti del passato. Si tratta del 2001 e in quel caso ci scappo' un morto e questa è una bella differenza, ma la cosa che accomuna le due vicende è l'incapacità delle forze dell'ordine di quella città di fare bene il loro lavoro. Allora si macchiarono di reati per le quali il tribunale li ha persino condannati, stavolta forse il loro unico peccato è l'incapacità, il non volere o non riuscire a vedere come vanno le cose e cercare di prevenirle. Da quest parti e in questa stagione potrebbe anche essere la macaia.

martedì 12 ottobre 2010

I troppi TOM sulla collina



Ogni volta che la cronaca ci pone di fronte ad una morte violenta, si alzano le urla dei soliti idioti che, sulla spinta della rabbia del momento, della voglia di mettersi in mostra o più semplicemente della stupidità invocano la pena di morte. E la frase che accompagna questi deliri suona spesso così: "il carcere è troppo poco". Ecco di seguito un elenco di persone per cui la detenzione nelle carceri italiane è stata fin troppo.
Pierpaolo Ciullo (39 anni), Celeste Frau (62), Giacomo Attolini (49), Antonio Tammaro (28), Eddine Abellativ (27), Mohamed El Abbouby (25) Ivano Volpi (29), Adel Ben Massoud (57), Walid Aloui (28), Vincenzo Balsamo (40), Alessandro Furuli (42), Roberto Giuliani (47), Giuseppe Sorrentino (35), Angelo Russo (31), Romano Iaria (54), Carmine B.(39), Daniele Bellante (31), Giuseppe Palumbo(34), Gianluca Protino(34), Eraldo De Magro (57), Vasiline Ivanov Kirilov (33), Domenico Franzese (45), Aldo Caselli (44), Alessandro Lamagna (34), Francisco Caneo (44),  Luigi Coluccello (34), Antonio Di Marco (43), Tomas Goller (43), Yassine Aftani (22), Marcello Mento (37), Santino Mantice (25), Antimo Spada (35), Italo Saba (53), Rocco Manfrè (65), Andrea Corallo (39), Corrado Liotta (44),  Mohamed Hattabi (43), Riccardo Greco (50), Ramon Berloso (35), Matteo Carbognani (34), Moez Ajadi (33), Francesco Consolo (32), Ivan Maggi (22), Rodolfo Gottardo (50), Bruno Minniti (23), Ajoub Ghaz (26), Mirco Sacchet (27), Antonio Granata (35).* 
Purtroppo l'elenco non finisce qui, operchè oggi ancora un altro ha pensato di farla finita, non conosco ancora il suo nome altrimenti lo scriverei. In una società che troppo spesso dimentica le proprie colpe è l'unico omaggio alle vittime di una assurda strage.

*http://www.ristretti.it/areestudio/disagio/ricerca/2010/index.htm. 
L'elenco comprende solo i detenuti suicidi di cui è riportato anche il nome, non comprende i detenuti di cui non compare il nome e il cognome e quelli per cui le cause della morte non sono ancora state accertate.


Standing ovation




Gli applausi ad un funerale sono la cosa più assurda a cui mi sia capitato di assistere. Non sono uno che ama partecipare a questo tipo di celebrazioni, considerando il dolore un sentimento privato, ma rispetto chi, come i credenti, fa della comunione di certi eventi una testimonianza della propria fede. Ma tra il manifestare il proprio dolore e l'applaudire c'è una bella differenza. Perchè si applaude in genere? Per una bella esibizione, perchè si è in televisione e lì ogni tanto bisogna farlo altrimenti a che serve il pubblico, oppure in segno di liberazione, dopo che si è attesa una notizia per un po' di tempo e questa finalmente arriva così come l'avevamo sperata. Ma trasponendo tutto ad una cerimonia funebre la cosa mi lascia un po' perplesso: la gente sarà mica lì ad applaudire il bello spettacolo del funerale (la cosiddetta pompa funebre), o piuttosto perchè ci sono degli spettatori, paganti o pagati fa poca differenza, e quindi è un po' come si assistesse ad uno show televisivo. Oppure anche nel caso dei funerali si tratta di un vero e proprio sollievo: finalmente si è tolto di torno, non vedevamo l'ora che se ne andasse, oh che bella notizia, una liberazione. Il mio sospetto è che si vuole rendere il funerale un bell'evento, una cosa piacevole, televisiva, indimenticabile, ma in questi casi sarebbe meglio organizzare delle piccole feste, come avviene in certe culture, portare dei violini, ballare, fare un po' di baccano per esorcizzare la morte. Ma da noi non è così. Come nel caso dei minuti di raccoglimento, oggi sempre più spesso sostituiti da minuti di applausi, non si riesce a comprendere che la scusa degli applausi è solo un artifizio per ingannare la mente. Il movimento delle mani, il bruciore deipolpastrelli e il fragore dei suoni nelle orecchie non ci lasciano il tempo di pensare. Ci privano del piacere di ricordare in silenzio la persona cui stiamo dando l'ultimo saluto, ci negano la possibilità di confrontarci con la miseria delle nostre inutili vicende. 


Treetrentadue




Ho visto l'altra sera in Tv una città ancora distrutta da un terremoto di diciotto mesi fa, mentre un Presidente del Consiglio, appena può, si vanta di averla ricostruita, dopo che proprio lì ha fatto arrivare i capi di Stato dei sette paesi più industrializzati del pianeta per un ritrovo di buontemponi chiamato G8. I suddetti avevano promesso aiuti per la ricostruzione, ma, come dice il sindaco "qui è ancora Beirut". Il premier invece non ha promesso niente, del resto per lui è missione compiuta, come quella dei rifiuti di Napoli, come per la crisi economica che è stata affrontata e risolta senza strascichi. Mentre guardavo quelle immagini mi è tornata in mente quella notte. Il letto che salta, nonostante io mi trovi a diverse centinaia di chilometri dall'epicentro. La mia perfetta incoscienza nel ritornare a dormire, quasi incurante di quel che stava accadendo. La totale assenza di notizie su ciò che era stato. Solo il giorno dopo seppi che la città aveva avuto più di trecento morti e che tra questi ci sarebbe potuto essere anche mio fratello che lì inseguiva il suo sogno da precario in cerca di occupazione nella scuola. Come inseguivano un sogno anche quei ragazzi morti sotto le macerie della casa dello studente. Anche a loro probabilmente sarebbe toccato un futuro da precari, ma purtroppo non hanno avuto nemmeno il tempo di provarci. Non conosco quella città, non ci sono mai stato, ma mio fratello me l'ha sempre descritta come un piccolo universo dal sapore antico, fatto di studenti che animavano le sue strade strette e la sua Piazza d'Armi, di gente che con qualche mal di pancia era riuscita ad accettarli, di Romani che lì ritrovavano una dimensione più umana, più autentica. Dove c'era ancora il tempo per parlare con un vecchietto, seduti in un bar davanti a un bicchiere di vino rigorosamente rosso, ricordando i tempi in cui Beirut era solo una città lontana sventrata da una guerra di cui ancora oggi non si capisce il senso. 

giovedì 7 ottobre 2010

Breaking News



Succede che in un paese dimenticato da Dio una ragazzina di quindici anni esce di casa in un assolato pomeriggio di agosto per andare dalla cugina che l'aspetta perchè insieme devono andare al mare. E però non arriva dalla cugina e dopo poche ore si ha subito l'impressione che qualcosa non va. La ragazza è sparita, come inghiottita in pieno giorno in un centro piccolissimo mentre percorre un tragitto di poche centinaia di metri. Succede poi che nei giorni successivi comincia la solita instancabile processione di inviati dei telegiornali e dei programmi pomeridiani che si affannano a strappare l'intervista ai parenti, ai genitori, agli amici, ai conoscenti, a chiunque non riesca a fare a meno di apparire in TV, anche quando le circostanze richiederebbero una certa circospezione e il giusto silenzio. E' un po' come quando un inviato del TG2 si collegò da un paesino della Campania dove una palazzina era appena stata rasa al suolo, uccidendo una nonna e la nipotina, in seguito a una fuga di gas e dietro all'inviato in collegamento si ammucchiarono giovani e anziani in cerca di un obiettivo per salutare sorridenti i conoscenti davanti alla TV. Succede poi che la maledetta TV in una sera di due mesi dopo la scomparsa della povera ragazza sia collegata in pompa magna con la mamma della ragazza e la giornalista in onda, incurante della rezione degli astanti, della sua deontologia, della pietas che rendeva persino i guerrieri della mitologia greca più miti di fronte alla morte, annunci: "svolta nel giallo...la ragazza sarebbe stata uccisa...in questi minuti i carabinieri stanno cercando il corpo...secondo le prime indiscrezioni lo zio avrebbe confessato l'omicidio". Mentre avviene tutto ciò la madre, che in questi mesi avrà ripercorso tutta la sua vita con la figlia, gli errori commessi, le inevitabili incomprensioni tra una madre e la figlia adolescente, le mille domande sul perchè di una fuga o peggio di una scomparsa in seguito a una violenza, coi capelli appeni fatti dal parrucchiere e con l'abito buono perchè davanti alla platea televisiva bisogna andarci come si deve, ha uno sguardo fisso, atterrito. Mia figlia è stata uccisa dal marito di mia sorella e a rivelarmelo è una donna che non ho mai visto, che ascolto in collegamento da centinaia di chilometri di distanza e che staserà tornerà a casa e prima di mettersi a letto rimboccherà le coperte a sua figlia e le augurerà la buonanotte con un bacio in fronte.