tremendieventi

martedì 12 ottobre 2010

Treetrentadue




Ho visto l'altra sera in Tv una città ancora distrutta da un terremoto di diciotto mesi fa, mentre un Presidente del Consiglio, appena può, si vanta di averla ricostruita, dopo che proprio lì ha fatto arrivare i capi di Stato dei sette paesi più industrializzati del pianeta per un ritrovo di buontemponi chiamato G8. I suddetti avevano promesso aiuti per la ricostruzione, ma, come dice il sindaco "qui è ancora Beirut". Il premier invece non ha promesso niente, del resto per lui è missione compiuta, come quella dei rifiuti di Napoli, come per la crisi economica che è stata affrontata e risolta senza strascichi. Mentre guardavo quelle immagini mi è tornata in mente quella notte. Il letto che salta, nonostante io mi trovi a diverse centinaia di chilometri dall'epicentro. La mia perfetta incoscienza nel ritornare a dormire, quasi incurante di quel che stava accadendo. La totale assenza di notizie su ciò che era stato. Solo il giorno dopo seppi che la città aveva avuto più di trecento morti e che tra questi ci sarebbe potuto essere anche mio fratello che lì inseguiva il suo sogno da precario in cerca di occupazione nella scuola. Come inseguivano un sogno anche quei ragazzi morti sotto le macerie della casa dello studente. Anche a loro probabilmente sarebbe toccato un futuro da precari, ma purtroppo non hanno avuto nemmeno il tempo di provarci. Non conosco quella città, non ci sono mai stato, ma mio fratello me l'ha sempre descritta come un piccolo universo dal sapore antico, fatto di studenti che animavano le sue strade strette e la sua Piazza d'Armi, di gente che con qualche mal di pancia era riuscita ad accettarli, di Romani che lì ritrovavano una dimensione più umana, più autentica. Dove c'era ancora il tempo per parlare con un vecchietto, seduti in un bar davanti a un bicchiere di vino rigorosamente rosso, ricordando i tempi in cui Beirut era solo una città lontana sventrata da una guerra di cui ancora oggi non si capisce il senso. 

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