tremendieventi

venerdì 29 ottobre 2010

Ripassatine



Ci sono casi in cui il semplice annuncio di un provvedimento vale molto più di tante azioni concrete. L'esempio classico è quello della moral suasion degli organi di politica monetaria. In genere un annuncio di un governatore centrale, se stimato e considerato credibile dalla comunità finanziaria, vale molto più di una politica attiva sui mercati finanziari tipo variazione dei tassi di interesse o manovre in mercato aperto per la protezione di una valuta o del debito pubblico di un Paese. A volte qualsiasi azione di un'istituzione finanziaria anche se massiccia, se non corroborata dalla fiducia degli investitori, non ha alcun effetto e il crollo è inevitabile. Prova ne sia quanto accaduto durante l'ultima crisi dei sub-prime del settembre del 2008. Ieri sera, nonostante si tratti di contesti completamenti diversi, ho avuto la riprova del fatto che la perdita di credibilità può far crollare qualsiasi tentativo di progetto ancorchè meritorio. C'era in televisione il capo della protezione civile che parlava delle azioni da intraprendere per risolvere l'ennesima crisi dei rifiuti in Campania. Fino a qualche mese fa, costui era considerato una specie di superman, anche perchè aveva dalla sua parte una certa trasversalità dal momento che aveva lavorato con governi appartenenti agli opposti schieramenti politici. Dovunque arrivava, veniva accolto come una specie di salvatore della patria, una persona in grado di risolvere qualsiasi problema, anche al di là dei suoi effettivi meriti. E così dall'emergenza rifiuti di Napoli al terremoto dell'Aquila, dal G8 fino alla piena del Tevere, la sua polo coi bordi tricolori, lo sguardo deciso e l'indubbia capacità esplicativa avevano fatto pensare a tanti di trovarsi finalmente di fronte ad una persona perbene e soprattutto capace. Non era così. La monnezza a Napoli sta ancora lì a ricordarci che il maquillage dei primi tempi era solo una soluzione tampone che aveva allontanato il problema non risolvendolo. Basta una passeggiata per le strade dell'Aquila a ricordarci che diciotto mesi sembrano essere trascorsi invano. Poi la gente ancora dispersa negli alberghi dell'Abruzzo, le nuove casette fatiscenti e costosissime hanno fatto capire a tanti suoi sostenitori che era tutto un bluff e che il capo della protezione civile era l'ennesimo incapace messo lì a prestare la faccia plastica dell'efficienza governativa mentre alle sue spalle,  e molto spesso con la sua complicità, si compivano i miracoli dell'incompetenza e del malaffare. Eppure, nonostante l'evidente fallimento della sua azione, era rimasto ancora lì a spiegare, a spaccare il capello in quattro, a difendersi con una certa autorevolezza e credibilità. Poi sono venuti i tempi delle intercettazioni e lo abbiamo sentito contattare una massaggiatrice per una "ripassatina" o imprecare perchè non si trovavano i preservativi (a cosa servano i preservativi in un massaggio per il mal di schiena resta ancora un mistero). Poi abbiamo letto le interviste del proprietario di una casa da lui affittata nel centro di Roma, sicuramente per altre "ripassatine", che afferma che l'affitto, in ritardo anche di qualche mese, veniva pagato non da lui ma da persone riconducibili a ditte che lavoravano con la protezione civile e che avrebbero anche fatto la ristrutturazione della sua casa. Naturalmente gratis. E infine siamo giunti a ieri sera. Quest'uomo un tempo autorevole, che viene attaccato da chiunque ha in mano un microfono, dall'ultimo manifestante di Terzigno ai giornalisti seduti al suo fianco. Le parole da lui pronunciate, alla luce di quelle intercettazioni, suonavano false, prive di credibilità e di significato, contribuendo a restituirci l'immagine autentica di un fallimento.


giovedì 28 ottobre 2010

Ditegli sempre di sì




E' un po' di tempo che le televisioni italiane, sia pubbliche che private, stanno prendendo la brutta abitudine che in un detto popolare si attribuiva alle donne costrette a vendersi per danaro, ovvero piangono e concupiscono. Prendiamo ad esempio il caso di una giovane ragazzina uccisa barbaramente da parenti molto prossimi. Tutti i commentatori da giorni sono pronti a sostenere che è sbagliata questa intrusione a gamba tesa vita familiare della vittima, questa televisione che guarda dal buco della serratura e che dà modo a pseudo-professionisti da tre soldi di trarre conclusioni processuali sulla colpevolezza degli indagati in base ad un movimento di sopracciglio o all'inclinazione della voce. Salvo poi ricredersi il giorno dopo alla comparsa di una nuova rivelazione giornalistica. Non va dimenticato peraltro che questo macabro spettacolo, che ha avuto il suo prologo con la rivelazione alla madre in diretta televisiva  del ritrovamento del corpo della figlia scomparsa da mesi e del contemporaneo arresto del cognato, ha portato negli ultimi tempi ad una forma di turismo voyeuristico che ha fatto aumentare sensibilmente le presenze nel piccolo centro tarantino, tanto che il sindaco ha deciso di chiudere durante il fine settimana le strade in cui si sarebbe consumato il delitto. E fino a qui, per rimanere nella metafora di cui sopra, saremmo al pianto. Il fornicamento invece sta nell'affermazione secondo cui gli autori e i giornalisti dei programmi e delle reti coinvolte mandano in onda ciò che a loro non piace solo perché è il pubblico che glielo chiede. E così una trasmissione generalmente dai bassi ascolti come Matrix, un tempo pregevole creatura del più grande giornalista televisivo italiano, l'altra sera ha fatto quasi il 40% di share. E allora bisogna dare alla platea ciò che essa vuole e non solo a teatro. E' come se un professore dicesse che lui vorrebbe fare lezione, vorrebbe far svolgere i compiti in classe, vorrebbe pure interrogarli ogni tanto, ma i suoi studenti gli chiedono di continuare a giocare a battaglia navale o a "cose, città, animali..." e lui li lascia fare perchè ci tiene molto ad essere amato dai suoi alunni. Oppure  è come se un cartomante dicesse che è sbagliato prendere in giro la gente consegnando essa del sale marino da far sciogliere in acqua per allontanare il malocchio, ma la gente vuole illudersi, vuole sentire per un attimo di avere in pugno il prorpio destino e soprattutto si presenta numerosa con l'assegno in bocca e allora ci vuole pur qualcuno che gli dia ascolto. E' come se un presidente del consiglio dicesse che è sbagliato illudere i propri elettori promettendogli posti di lavoro e millantando soluzioni immediate a crisi economiche ed ambientali, ma i suoi spettatori-elettori gli chiedono questo, vogliono questo e lui è lì pronto ad esaudire tutti i loro desideri. Non è forse per questo che l'hanno eletto?

martedì 26 ottobre 2010

Dizionario dei tempi




Gli anni che stiamo vivendo probabilmente non ci lasceranno niente di buono sul piano politico economico e sociale, forse solo una grande voglia di dimenticarli e di ripartire. Tra le cose più negative, però, ci porteremo dietro l'abuso di nuove forme lessicali, di parole che suonano molto bene foneticamente ma che spesso sono prive di significato e di aderenza alla realtà. A che serve usare milioni di volte da parte del responsabile alla protezione civile l'espressione "Messa in sicurezza"? Si pensi a due contesti in cui l'espressione è stata utilizzata: il terremoto dell'Aquila e la questione dei rifiuti della provincia di Napoli. A che serve dire che il centro dell'Aquila, i piccoli paesini circostanti, migliaia e migliaia di casette sono state appunto messe in sicurezza se ormai in quei luoghi tutto odora di morte e di desolamento. In sicurezza da chi? Da cosa? Se tutto è finito chi beneficerà di questa sicurezza? Soprattutto a che serve tanta enfasi se tutti sanno che se sopravvenisse un nuovo sciame sismico come quello di un anno e mezzo fa tutto sarebbe raso al suolo? E allora Perchè usare questa espressione? O ancora: a che serve dire che la cava Vitiello di Terzigno è stata messa in sicurezza se la gente continua a tenere le finestre barricate per evitare di respirare i miasmi putrescenti che escono da quel sito, oppure la gente passa le notti intere a dare fuoco ai camion che provano a sversare nella cava o ancora se il tasso di incidenza di alcune forme tumorali è quasi doppio rispetto al resto del territorio nazionale? Eppure il nostro eroe è riuscito a pronunciare l'espressione ben due volte ieri sera, mentre assumeva un'espressione che avrebbe dovuto infondere sicurezza nella popolazione, mentre appariva solo come lo specchio dell'ennesima promessa non mantenuta. Si pensi poi al termine "Zona Rossa". Fa la sua comparsa per la prima volta durante il G8 del 2001 di Genova per identificare la zona invalicabile che doveva fare da cuscinetto tra le aree dedicate alle manifestazioni di contestazione e la superficie occupata dai "grandi" della Terra. La stessa espressione ritorna dieci anni dopo in occasione del terremoto. In questo caso si tratta di identificare l'area del centro storico dell'Aquila dove è vietato l'ingresso della popolazione a causa del pericolo di crolli. In entrambi i casi si tratta semplicemente di creare una zona d'ombra per impedire alla gente di sapere e ai giornali di raccontare l'immobilismo del presunto fare, allora dei capi di stato del G8, oggi dei soloni del governo e della protezione civile. Concludo momentaneamente questo piccolo vocabolario dei nostri tempi col termine "Lodo". Nelle controversie contrattuali si tratta di una soluzione arbitrale in cui un saggio, nominato all'uopo alla stipula del contratto o successivamente, ratifica l'accordo tra le parti, senza ricorre alla giustizia civile. Oggi il termine viene utilizzato per identificare una o più soluzioni legislative che hanno un solo obiettivo: l'impunità del capo del governo. Non riesco proprio a capire se usare le parole in questo modo serva a prendere in giro chi ascolta o a provare a conferire nobiltà a delle schifezze inenarrabili.


giovedì 21 ottobre 2010

Ora d'aria



Quando si dimette un personaggio coinvolto in uno scandalo giudiziario si ha sempre l'impressione che l'azione di tante valide persone non sia vana. La magistratura non c'entra niente, i soggeti in gioco sono altri. E' come se in quel preciso momento si affermasse il ruolo fondamentale dell'informazione e di tutti quegli organi preposti alla sorveglianza del potere. In casi del genere la magistratura ha un ruolo solo apparentemente determinante, è piuttosto l'indignazione della popolazione che porta il singolo coinvolto in fatti penalmente rilevanti a non riuscire a reggere più il peso delle ombre alla propria onorabilità. Ma bisogna pur avercela una onorabiltà! Azioni di questo tipo non sottindendono necessariamente un'ammissione di colpevolezza e contribuiscono a riabilitare il dimissionario nonostante si sospetti o si accerti nelle sedi opportune che egli si sia  macchiato di delitti orrendi proprio perchè commessi nell'abuso di un potere. In un'epoca in cui alcuni politicanti o funzionari dello stato sembrano bearsi tronfiamente della propria impunità, casi del genere costituiscono un'eccezione che va salutata con enorme soddisfazione. In fondo se v'è ancora un'informazione che riesce a svolgere il ruolo di cane da guardia del potere, una platea di cittadini che ha ancora la forza di indignarsi e di considerare un delitto l'arroganza del potere, una minoranza di politici e grand commis che decidono di farsi da parte per affrontare meglio le loro controversie giudiziarie, c'è speranza che questa società possa rimettersi sul giusto sentiero della legalità. Oggi si è dimesso il Presidente della Corte d'Appello di Milano Marra, poco tempo fa aveva compiuto lo stesso gesto il magistrato Toro e ancor prima l'allora ministro Scaiola. Anche per loro il momento dell'addio sarà stato difficile, ma penso che un minuto dopo abbiano riempito i polmoni d'aria con un senso di leggerezza, il loro cervello ha cominciato ad ossigenarsi e a prepararsi in maniera convinta a controbattere alle accuse a loro carico. Questo è un bel giorno non solo per chi si indigna, ma anche per chi è chiamato a rispondere di orrendi reati contro la collettività. 



mercoledì 20 ottobre 2010

R.I.P




R.I.P. è il titolo di un pezzo bellissimo del Banco del Mutuo Soccorso contenuto nell'album omonimo del 1972. L'ossessione che ho per l'oblio dopo la morte mi porta a richiederla anche per la gente che ho stimato sopra ogni cosa, soprattutto se si tratta di grandi intellettuali o di cantautori. In fondo per questi ultimi specialmente dovrebbe essere molto più facile il rispetto del silenzio dopo la morte, ci sono i loro pezzi e i loro scritti a ricordare che sono esistiti e quanto erano bravi. I timori degli esordi e gli episodi della loro vita più o meno spensierata trasudano da quelle pagine o da quelle note e qualsiasi aggiunta da parte di un profano che, inevitabilmente, ne sa meno dell'autore stesso non è altro che una brutta replica che infastidisce lo sguardo e rattrista l'animo. Altra cosa è la critica, ma i critici non commettono di questi errori, soprattutto quelli bravi conoscono i loro limiti di fronte ai grandi. Fabrizio De Andre se n'è andato un giorno di gennaio del 1999, il settembre dell'anno prima ci aveva lasciato Lucio Battisti, mentre il giorno di capodanno del 2003 è morto Giorgio Gaber. Con la morte di questi tre autentici fuoriclasse è iniziata la serie delle repliche non richieste e qualsiasi cantantucolo da strapazzo voglia un po' tirarsela in televisione, comincia a citare un loro pezzo, un verso delle loro poesie, o peggio comincia a cantarne qualche brano più o meno famoso. Il più delle volte si tratta di musicisti che appartengono a due categorie: quelli che, dopo un breve successo ottenuto magari un bel po' di anni fa e spesso per motivi ignoti anche a se stessi, hanno smesso di comporre o di scrivere o semplicemente di essere famosi e millantano rapporti più o meno amicali con questo o quell'altro mostro sacro; quelli che, invece, al contrario dei primi, non hanno nemmeno avuto il minimo successo, ma continuano ad inseguirlo andando in televisione da una vita, nonostante la canizie e la calvizie dovrebbero spingerli a più miti consigli.Per questi ultimi le cover dei cantautori succitati sono un modo per far vedere che in fondo un po' di musica ci capiscono pure loro, o solo il disperato tentativo di raccogliere un'eredità che i grandi, in quanto tali, non lasciano a nessuno. A questo si aggiunga, e dispiace constatarlo, anche un esercito di mogli parenti figli che con gesti un po' vomitevoli vanno in giro per i salotti televisivi a farsi intervistare da chiunque, col solo risultato di meritarsi, oltre una fetta consistente di diritti d'autore, un bel cazziatone nel giorno in cui dovesse capitare di rincontrare il caro estinto.


Etimologia


www.vauro.net

"Ma io non sono razzista!" è la frase, detta spesso con una punta di orgoglio mista ad astio, che mi capita di sentire con maggiore frequenza ogni volta che si comincia a parlare di un qualsiasi problema sociale. Prendiamo il traffico. Vivo in una città che da sempre, o meglio dagli anni Settanta, allorquando l'automobile è diventato un bene di consumo molto diffuso presso le famiglie italiane, combatte con il problema del traffico. O meglio con l'incapacità  e la mancanza di volontà dei suoi amministratori nel voler affrontare questo argomento. Spesso quando senti qualcuno che narra le sue gesta epiche nel cercare di districarsi in mezzo ai tentacoli di questa città infernale ti sembra di assistere alla testimonianza di un sopravvisuto ad una battaglia campale o di un abitante di una città industriale dei primi del Novecento infestata dalle cavallette. Il culmine lo si raggiunge quando poi si va all'estero e ci si rende conto che ci sono città che hanno il triplo degli abitanti e dell'estensione della nostra eppure sono riusciti col tempo a far convivere le diverse istanze di chi ha necessità di muoversi e di chi prova ogni giorno a sopravvivere allo smog e allo stress da spostamento, creando diverse soluzioni complementari o alternative. Trasporti sotterranei, disincentivi all'uso della auto private in favore dei mezzi pubblici, creazione di un ambiente ottimale per chi vuole spostarsi con mezzi propri non inquinanti come le biciclette oppure il progressivo spostamento degli uffici amministrativi o delle zone commerciali dai centri congestionati alle periferie costruite con criteri di efficienza e funzionalità. Siccome tutto ciò nella mia città non solo non esiste, ma ancora non si ha la più pallida idea di come cominciare a percorrere questa strada, l'altra mattina, all'estero, mi sono trovato ad affrontare questo argomento con un mio amico. Ad un certo punto della discussione che si svolgeva pacatamente nel contesto quasi idilliaco di  una tranquilla domenica mattina in una città piena di parchi e di gente coi bambini piccoli nei passeggini, mi fa:-La colpa del traffico nella nostra città è degli ebrei!- Io ho un balzo, mi tornano in mente gli anni Trenta, le vignette della propaganda nazista, il complotto demo-pluto-giudaico-massone, il protocollo sei savi anziani di Sion, il fatto che venendo egli da una città papalina non poteva essere altrimenti. Lui prova a dirmi che in realtà la colpa del traffico è dei commercianti che non vogliono la chiusura alle auto private del centro delle città e che questa categoria è costituita per lo più da ebrei (è una fesseria bella e buona anche questa, la comunità ebraica della mia città è costituita da circa 14.000 persone*, compresi vecchi e bambini, mentre sono presenti circa 44.000 esercizi commerciali**, come si vede, anche in questo caso, i luoghi comuni accrescono il pregiudizio e non aiutano a comprendere la realtà)  e altre menate del genere e poi, osservando il mio sguardo indignato, mi fa : "ma io non sono razzista!".



martedì 19 ottobre 2010

Roxanne



Vivo in una città completamente adagiata sull'acqua, i cui abitanti sono provengono un po' da tutto il mondo, visto che i miei antenati per secoli sono andati in giro e hanno riportato qui qualsiasi cosa di prezioso trovassero: dalle spezie ai tessuti, dalle pietre preziose agli esseri umani. I miei concittadini vivono in perfetta armonia tra essi e con l'ambiente e sembra che lo stress e la tensione tipiche di questi anni non li sconvolgano più di tanto. Certo sono agevolati da una società che già da decenni ha compiuto una battaglia libertaria e che difficilmente rinuncia agli spazi che le vengono concessi per rilassarsi e pensare tranquillamente ai fatti propri. Sarà pure che in una città piccola come questa non c'è nemmeno tanto bisogno di impazzire nel traffico, sarà che le biciclette sono il mezzo di trasporto più utilizzato e che la gente, sia che piova o ci sia il sole, sembra non curarsene affatto. Certo, il sole non è proprio dicasa da queste parti e ogni tanto il vento ci pensa a ricordarci che nel centro dell'Europa bisogna coprirsi bene o si è condannati a perenni raffreddori. Purtroppo in questi ultimi tempi di crisi stanno venendo alla ribalta diversi gruppi xenofobi e anti-islamici, ma credo che una società come la nostra che fa dell'accoglienza e del vivere civile un suo tratto distintivo, saprà in breve tempo contenere e superare questi sentimenti. E' anche una città piena di turisti che a volte sembrano essere sbarcati nel paese dei balocchi, ma sarebbe meglio stessero attenti: noi la libertà ce la siamo guadagnata a prezzo di decenni di sacrifici e di corse in avanti e repentini rallentamenti, loro invece, abituati come sono a sistemi sociali molto più puritani e proibizionisti, rischiano ogni volta l'overdose libertaria. Il cibo certo non è un granchè e ci sono troppe patate in giro, ma troviamo tutto quello che ci serve se vogliamo una dieta bilanciata e nei giorni di festa spesso ci ritroviamo a fare chilomentri in giro per i parchi immensi e pieni di verde. Ti saluto forte e spero di incontrarti un giorno. Ricevo questa lettera da una località dell'Europa centrale e non so perchè mi viene una gran voglia di fare le valigie.


mercoledì 13 ottobre 2010

...è un'idea come un'altra



Ieri sera me ne stavo andando bel bello in piscina mentre lasciavo mio fratello a guardare la partita Italia-Serbia. Prima di uscire, do un'ultima occhiata al televisore e all'improvviso vedo inquadrato un matto di nero vestito con tanto di passamontagna su una cancellata mentre taglia la rete che protegge il campo di gioco da eventuali lanci di oggetti (e sì, nel calcio succede anche questo!) ed i telecronisti che commentano le sue gesta. Poi comincia un lancio di fomogeni e altri oggetti incendiari. Dopo un po' si vede una corsa di caschetti azzurri della Polizia che si mettono di fronte alla curva occupata dai Serbi. D'improvviso mi viene in mente un'immagine di 25 anni fa, l'orario è lo stesso, la circostanza (una partita di calcio) pure, cambia la stagione e pure l'importanza della partita. Ma la sensazione è assolutamente la stessa: io che sto lì insieme a mio fratello e cerco di vedere una partita e due commentatori che mi narrano le gesta di quattro scalmanati che stanno facendo di tutto per rovinarmi la festa. Qulla volta finì molto peggio, almeno stavolta non ci sono morti, e soprattutto mi sono sotratto allo strazio dell'attesa perchè me ne sono andato in piscina. In meno questa volta c'è anche l'inutile parata dei gendarmi a cavallo. Allora fu uno spettacolo davvero ridicolo e a suo modo indimenticabile. In questa occasione almeno i gendarmi si muovono a piedi rendendo la scena un po' più verosimile. Oggi poi leggo sul giornale di accuse al ministro dell'interno, al questore e al prefetto di una città che mi riporta di nuovo a ricordi brutti del passato. Si tratta del 2001 e in quel caso ci scappo' un morto e questa è una bella differenza, ma la cosa che accomuna le due vicende è l'incapacità delle forze dell'ordine di quella città di fare bene il loro lavoro. Allora si macchiarono di reati per le quali il tribunale li ha persino condannati, stavolta forse il loro unico peccato è l'incapacità, il non volere o non riuscire a vedere come vanno le cose e cercare di prevenirle. Da quest parti e in questa stagione potrebbe anche essere la macaia.

martedì 12 ottobre 2010

I troppi TOM sulla collina



Ogni volta che la cronaca ci pone di fronte ad una morte violenta, si alzano le urla dei soliti idioti che, sulla spinta della rabbia del momento, della voglia di mettersi in mostra o più semplicemente della stupidità invocano la pena di morte. E la frase che accompagna questi deliri suona spesso così: "il carcere è troppo poco". Ecco di seguito un elenco di persone per cui la detenzione nelle carceri italiane è stata fin troppo.
Pierpaolo Ciullo (39 anni), Celeste Frau (62), Giacomo Attolini (49), Antonio Tammaro (28), Eddine Abellativ (27), Mohamed El Abbouby (25) Ivano Volpi (29), Adel Ben Massoud (57), Walid Aloui (28), Vincenzo Balsamo (40), Alessandro Furuli (42), Roberto Giuliani (47), Giuseppe Sorrentino (35), Angelo Russo (31), Romano Iaria (54), Carmine B.(39), Daniele Bellante (31), Giuseppe Palumbo(34), Gianluca Protino(34), Eraldo De Magro (57), Vasiline Ivanov Kirilov (33), Domenico Franzese (45), Aldo Caselli (44), Alessandro Lamagna (34), Francisco Caneo (44),  Luigi Coluccello (34), Antonio Di Marco (43), Tomas Goller (43), Yassine Aftani (22), Marcello Mento (37), Santino Mantice (25), Antimo Spada (35), Italo Saba (53), Rocco Manfrè (65), Andrea Corallo (39), Corrado Liotta (44),  Mohamed Hattabi (43), Riccardo Greco (50), Ramon Berloso (35), Matteo Carbognani (34), Moez Ajadi (33), Francesco Consolo (32), Ivan Maggi (22), Rodolfo Gottardo (50), Bruno Minniti (23), Ajoub Ghaz (26), Mirco Sacchet (27), Antonio Granata (35).* 
Purtroppo l'elenco non finisce qui, operchè oggi ancora un altro ha pensato di farla finita, non conosco ancora il suo nome altrimenti lo scriverei. In una società che troppo spesso dimentica le proprie colpe è l'unico omaggio alle vittime di una assurda strage.

*http://www.ristretti.it/areestudio/disagio/ricerca/2010/index.htm. 
L'elenco comprende solo i detenuti suicidi di cui è riportato anche il nome, non comprende i detenuti di cui non compare il nome e il cognome e quelli per cui le cause della morte non sono ancora state accertate.


Standing ovation




Gli applausi ad un funerale sono la cosa più assurda a cui mi sia capitato di assistere. Non sono uno che ama partecipare a questo tipo di celebrazioni, considerando il dolore un sentimento privato, ma rispetto chi, come i credenti, fa della comunione di certi eventi una testimonianza della propria fede. Ma tra il manifestare il proprio dolore e l'applaudire c'è una bella differenza. Perchè si applaude in genere? Per una bella esibizione, perchè si è in televisione e lì ogni tanto bisogna farlo altrimenti a che serve il pubblico, oppure in segno di liberazione, dopo che si è attesa una notizia per un po' di tempo e questa finalmente arriva così come l'avevamo sperata. Ma trasponendo tutto ad una cerimonia funebre la cosa mi lascia un po' perplesso: la gente sarà mica lì ad applaudire il bello spettacolo del funerale (la cosiddetta pompa funebre), o piuttosto perchè ci sono degli spettatori, paganti o pagati fa poca differenza, e quindi è un po' come si assistesse ad uno show televisivo. Oppure anche nel caso dei funerali si tratta di un vero e proprio sollievo: finalmente si è tolto di torno, non vedevamo l'ora che se ne andasse, oh che bella notizia, una liberazione. Il mio sospetto è che si vuole rendere il funerale un bell'evento, una cosa piacevole, televisiva, indimenticabile, ma in questi casi sarebbe meglio organizzare delle piccole feste, come avviene in certe culture, portare dei violini, ballare, fare un po' di baccano per esorcizzare la morte. Ma da noi non è così. Come nel caso dei minuti di raccoglimento, oggi sempre più spesso sostituiti da minuti di applausi, non si riesce a comprendere che la scusa degli applausi è solo un artifizio per ingannare la mente. Il movimento delle mani, il bruciore deipolpastrelli e il fragore dei suoni nelle orecchie non ci lasciano il tempo di pensare. Ci privano del piacere di ricordare in silenzio la persona cui stiamo dando l'ultimo saluto, ci negano la possibilità di confrontarci con la miseria delle nostre inutili vicende. 


Treetrentadue




Ho visto l'altra sera in Tv una città ancora distrutta da un terremoto di diciotto mesi fa, mentre un Presidente del Consiglio, appena può, si vanta di averla ricostruita, dopo che proprio lì ha fatto arrivare i capi di Stato dei sette paesi più industrializzati del pianeta per un ritrovo di buontemponi chiamato G8. I suddetti avevano promesso aiuti per la ricostruzione, ma, come dice il sindaco "qui è ancora Beirut". Il premier invece non ha promesso niente, del resto per lui è missione compiuta, come quella dei rifiuti di Napoli, come per la crisi economica che è stata affrontata e risolta senza strascichi. Mentre guardavo quelle immagini mi è tornata in mente quella notte. Il letto che salta, nonostante io mi trovi a diverse centinaia di chilometri dall'epicentro. La mia perfetta incoscienza nel ritornare a dormire, quasi incurante di quel che stava accadendo. La totale assenza di notizie su ciò che era stato. Solo il giorno dopo seppi che la città aveva avuto più di trecento morti e che tra questi ci sarebbe potuto essere anche mio fratello che lì inseguiva il suo sogno da precario in cerca di occupazione nella scuola. Come inseguivano un sogno anche quei ragazzi morti sotto le macerie della casa dello studente. Anche a loro probabilmente sarebbe toccato un futuro da precari, ma purtroppo non hanno avuto nemmeno il tempo di provarci. Non conosco quella città, non ci sono mai stato, ma mio fratello me l'ha sempre descritta come un piccolo universo dal sapore antico, fatto di studenti che animavano le sue strade strette e la sua Piazza d'Armi, di gente che con qualche mal di pancia era riuscita ad accettarli, di Romani che lì ritrovavano una dimensione più umana, più autentica. Dove c'era ancora il tempo per parlare con un vecchietto, seduti in un bar davanti a un bicchiere di vino rigorosamente rosso, ricordando i tempi in cui Beirut era solo una città lontana sventrata da una guerra di cui ancora oggi non si capisce il senso. 

giovedì 7 ottobre 2010

Breaking News



Succede che in un paese dimenticato da Dio una ragazzina di quindici anni esce di casa in un assolato pomeriggio di agosto per andare dalla cugina che l'aspetta perchè insieme devono andare al mare. E però non arriva dalla cugina e dopo poche ore si ha subito l'impressione che qualcosa non va. La ragazza è sparita, come inghiottita in pieno giorno in un centro piccolissimo mentre percorre un tragitto di poche centinaia di metri. Succede poi che nei giorni successivi comincia la solita instancabile processione di inviati dei telegiornali e dei programmi pomeridiani che si affannano a strappare l'intervista ai parenti, ai genitori, agli amici, ai conoscenti, a chiunque non riesca a fare a meno di apparire in TV, anche quando le circostanze richiederebbero una certa circospezione e il giusto silenzio. E' un po' come quando un inviato del TG2 si collegò da un paesino della Campania dove una palazzina era appena stata rasa al suolo, uccidendo una nonna e la nipotina, in seguito a una fuga di gas e dietro all'inviato in collegamento si ammucchiarono giovani e anziani in cerca di un obiettivo per salutare sorridenti i conoscenti davanti alla TV. Succede poi che la maledetta TV in una sera di due mesi dopo la scomparsa della povera ragazza sia collegata in pompa magna con la mamma della ragazza e la giornalista in onda, incurante della rezione degli astanti, della sua deontologia, della pietas che rendeva persino i guerrieri della mitologia greca più miti di fronte alla morte, annunci: "svolta nel giallo...la ragazza sarebbe stata uccisa...in questi minuti i carabinieri stanno cercando il corpo...secondo le prime indiscrezioni lo zio avrebbe confessato l'omicidio". Mentre avviene tutto ciò la madre, che in questi mesi avrà ripercorso tutta la sua vita con la figlia, gli errori commessi, le inevitabili incomprensioni tra una madre e la figlia adolescente, le mille domande sul perchè di una fuga o peggio di una scomparsa in seguito a una violenza, coi capelli appeni fatti dal parrucchiere e con l'abito buono perchè davanti alla platea televisiva bisogna andarci come si deve, ha uno sguardo fisso, atterrito. Mia figlia è stata uccisa dal marito di mia sorella e a rivelarmelo è una donna che non ho mai visto, che ascolto in collegamento da centinaia di chilometri di distanza e che staserà tornerà a casa e prima di mettersi a letto rimboccherà le coperte a sua figlia e le augurerà la buonanotte con un bacio in fronte. 

lunedì 4 ottobre 2010

N.C.C.



E' il quarto viaggio che faccio da stamattina e anche l'ultimo. Tra poco passo a prendere mia figlia e ce ne andiamo quattro giorni al mare. E' da quando mia moglie se n'è andata, sei mesi fa, che non passo più di due ore consecutive e una volta a settimana con mia figlia. Ma stavolta giuro che la faccio viaggiare come una regina. Ho chiesto al mio capo se mi  lascia la macchina, in fondo è un po' anche mia, visto tutti i viaggi che riesco a fare al giorno. E' una macchina bellissima e quando Chiara la vedrà rimarrà a bocca aperta. Poi le metterò su il suo CD preferito (me l'ha consigliato la mia ex moglie, con la quale, fortunatamente, ho mantenuto un buon rapporto) e finalmente si parte. Linda, la mia ex-moglie, ha deciso di andarsene e purtroppo non ho potuto dirle nemmeno arrivederci, un cliente storico aveva un aereo in partenza da Fiumicino e non c'era tempo da perdere. Ma sono contento che non ci sia rancore tra noi, in fondo lo dovevamo a Chiara e a quanto le vogliamo bene. Il prossimo cliente, che aspetto da quasi un quarto d'ora, si chiama Anderson e anche stavolta è stato impossibile riuscire a sapere che faccia ha. Potrebbe anche essere una donna, non ne so assolutamente niente. Certo ogni volta che mi ritrovo al terminal "Arrivi" dell'aeroporto con un cartello in mano mi sento un po' un demente. Se solo avessi davanti uno specchio mi scompiscerei dalle risate, vedendomi con questo ridicolo foglietto in mano ad aspettare uno sconosciuto, prendergli l'immancabile trolley nero e di corsa in macchina. Nonostante tutto, però, mi piace il mio lavoro, mi dà la possibilità di guidare delle macchine bellissime e nuovissime, di parlare le tre lingue che ho imparato ai tempi del liceo e di apprendere ogni giorno un particolare in più dei paesi di provenineza della gente che porto in giro. Il più delle volte si tratta di persone super impegnate che non mi degnano nemmeno di uno sguardo, ma, appena seduti, si accomodano sui sedili posteriori e accendono il loro laptop, mentre schiacciano freneticamente i tasti del Blackberry e controllano con la coda dell'occhio se ci sono nuove mail sull'I-pad. In quel caso meglio concentrarsi sulla guida e arrivederci alla prossima. A volte però trovi delle persone che sono stanche per il lungo viaggio in aereo e ti chiedono di come è il tempo in quel periodo dell'anno, dell'ultima partita della Roma in Champions League, delle trattorie dove si può mangiare bene la sera dopo una lunga giornata di lavoro. Altri ti si accomodano a fianco sul sedile anteriore e, per il breve tratto che li porta dall'aeroporto all'albergo o al luogo del loro appuntamento, ti sembra quasi che siano dei buoni amici coi quali condividere una gita di piacere. Quei momenti per me sono bellissimi perchè mi sento per loro un po' amante e un po' angelo custode. Chissà come sarà il sognor o la signora Anderson, spero solo arrivi in fretta. Mi aspetta Chiara, la mia principessa.