tremendieventi

giovedì 29 aprile 2010

Duemiladiciotto



Il sindaco della città in cui vivo (continuo a scrivere "la città in cui vivo" e non "la mia città" perché effettivamente ci vivo soltanto, non ci sono nato e non l'ho mai sentita come la mia città, tra l'altro non è nemmeno la città che preferisco e se proprio potessi scegliere una città di elezione certo non sceglierei questa) ha tenuto una conferenza stampa questa mattina in cui ha illustrato, tra le tante cose belle fatte nei primi due anni del suo mandato, lo stato dell'arte intorno al "piano mobilità". Già il semplice sentire queste formule magiche di piani, strategie, tolleranze seguite da numeri, mi mette una certa angoscia, se poi si parla di mobilità in una città come questa, beh allora è molto probabile che semplicemente mi stiano prendendo per i fondelli. Ma meglio andare al sodo: nel 2007 iniziano i lavori per la terza (sì, proprio così, siamo appena alla terza e pare che chissà che stanno facendo) linea della metropolitana, la ormai famosa LineaC. Mentre il resto delle capitali mondiali comincia ad avere un sistema ramificato sia in superficie che nel sottsosuolo, quella del mio Paese ancora si uccide sulla terza linea, nonostante la congestione del traffico e l'aumento dell polveri sottili siano sotto gli occhi e nei polmoni di tutti coloro che ci vivono. La questione poi della terza linea mi interessa anche di più perché vivo sopra una delle future stazioni e quindi da circa tre anni vengo svegliato bel bello tutte le mattine dai lavori per la realizzazione della linea. Vabbè per farla breve la vera notizia è che il traguardo è quasi vicino...mancano appena otto anni. O almeno così dicono, chissà quante cose succederanno nel frattempo, magari vivrò in un altra città, in un altro quartiere, non avrò più bisogno della linea C o semplicemente sarò morto.


mercoledì 28 aprile 2010

Cercando un altro Egitto



Il telefono squilla. Una, due, dieci volte. Mi muovo nella mia cella, sbatto contro la rete metallica che fa da letto, rischio di cadere di testa nella tazza del cesso, ma non riesco a capire da dove possa venire questo driiiiin incessante. Non è una suoneria moderna, sembra il rumore nauseabondo e molesto che facevano i telefoni negli anni Cinquanta dell'altro secolo. Non che io fossi vivo a quel tempo, ma dai film mi pare che fosse così, ne ricordo perfettamente il fastidio nelle orecchie e nell'animo. Cella ventisei del braccio sud del carcere di Rebibbia - Roma. Braccio dei detenuti in attesa di giudizio. Come in tutti gli altri, anche in questo carcere è la zona più popolosa. Il telefono continua a squillare e questo non mi aiuta a concentrarmi. Mi si avvicina un secondino, ma vedo solo il braccio che sporge attraverso le sbarre di ferro. Non posso vedere il suo viso e questo non mi piace. Chi sei? Cosa Vuoi? Come si fa a ricevere telefonate in carcere? Quando, due settimane fa, mi avete fatto entrare mi avete spogliato di tutto. E la cosa che più mi ha sconvolto è stata proprio quando mi avete strappato dalle mani il telefono cellulare. E ora? Vabbè dai! Rispondo:- chi è? -
- Sono tuo padre. Vuoi ricominciare a mangiare che stai dimagrendo troppo!
Mi riprendo dal torpore in cui sembro essere sprofondato e mi sovviene l'immagine di mio padre coi capelli e i baffi bianchi. C'è qualcosa che mi opprime il cuore, che devo dirgli e che ancora non gli ho detto. Devo farlo. Non posso farmi scappare questa occasione. Chissa tra quanto tempo avrò la possibilità di dirglielo. Devo farlo.
- Papà.
- Dimmi.
- Sono in carcere- e mi scendono le lacrime dagli occhi, ma non riesco nemmeno a farmi un bel pianto liberatorio.
- Lo so - dice lui - chi credi abbia contattato l'avvocato?
Come lo sai? E non hai niente da dirmi? Comincio a riprendermi davvero. Non mi sento più indolenzito. E allora mi ritorna in mente anche il perchè sono qui. Mi hanno beccato un paio di settimane fa in una villa di Roma.
- 2 grammi di erba - mi dice il carabiniere che intanto mi accompagna in questura.
Come 2 grammi di erba? Ho smesso di comprarla da un anno e mezzo, ormai sono fuori. E poi, cazzo, sono solo due grammi, solo i fessi vanno in galera per così poco.
Ti- ti -ti-ti-ti-tiiiiiiiiii. Le 8 e 10. Mi devo svegliare. La tv, il tè, il miele, la doccia, gli occhiali da sole, il motorino, uscire, Eur, lavoro. Solo un brutto sogno.

martedì 27 aprile 2010



Leggo di autocisterne che si ribaltano provocando code di 14 chilometri su un'autostrada del nord; della crisi che sta investendo la Grecia, culla della civiltà, che metterebbe a repentaglio la tenuta dell'Euro; del garante della privacy che impone una stretta sulle telecamere nelle città, finalmente, dico io, dato che ormai solo i delinquenti riescono a farla franca sempre, tutti gli altri stanno continuamente sotto le telecamere senza nemmeno un po' di cerone; del terzo giorno di tentativi di contenere il disastro ambientale a largo della Louisiana in seguito all'incendio di una piattaforma estrattiva in mezzo all'oceano, leggo di boss arrestati dopo decenni di latitanza perché condannati all'ergastolo e di folle di folli pronte o sostenere che no, non va arrestato perchè è uomo di pace, figuriamoci se fosse stato un uomo di guerra; di una ragazza uccisa 17 anni fa quasi mummificata nel sottotetto di una chiesa e, dopo innumerevoli peripezie, scoperta per caso da operai che fanno ristrutturazioni, oggi l'autopsia scopre che è stata accoltellata e soffocata; di imprese di Bergamo che fanno affari coi boss siciliani per vendere a prezzi gonfiati calcestruzzo utilizzato nei lavori pubblici a basso contenuto di cemento e soprattutto alla faccia del federalismo; dell'accordo fatto dal Primo Ministro del mio Paese con il suo omologo russo per la costruzione entro 3 anni di centrali nucleari anche in Italia, proprio nel giorno del ventiquattresimo anniversario del disastro di un famoso reattore in Ucraina. Continuo a scrivere di ciò che leggo per tenere desta la memoria, non vorrei essere vittima di facili e prezzolate amnesie.  

lunedì 26 aprile 2010

Quando non ci sarò piu'



C'è solo una cosa più macabra dell'applauso all'uscita del feretro dalla chiesa o dal luogo dove si sono svolti i funerali. E non poteva essere altrimenti. Questa orrenda pratica, infatti, è legata alla diffusione dei social network. Ma è meglio fare un passo indietro. Fino a qualche decennio fa, avvenuto il trapasso, i parenti e gli amici, attoniti, assistevano inermi alla celebrazione dell'ultimo saluto con un composto silenzio. Era un modo per aiutare le persone a pensare alla vicenda terrena di quelli che se ne erano andati, ripercorrendo fasi della vita trascorsa insieme. Magari tra i presenti nasceva il rimorso per non aver detto quella parola in una data circostanza, per non aver fatto quella telefonata in più, per non essere andato a quella festa di compleanno e così via. Poi sono subentrati gli applausi. Si applaudono i morti. Perchè? A me dà quasi l'impressione di una liberazione. E' quasi come se i presenti al funerale dicessero - Bravo! Finalmente te ne sei andato! 
E poi il frastuono dell'applauso non aiuta a pensare, a ricordare. Serve solo a far aumentare il carico di lacrime che ognuno si porta dentro, aumentando la spettacolarizzazione dell'evento. Mi sembra che tutto serva ad accrescere l'audience, a vendere meglio lo spettacolo, ad inserire più spazi pubblicitari. A questa pratica già assurda se n'è aggiunta da pochi anni un'altra: la resurrezione virtuale. Il tempo del silenzio di un individuo su un social network dura meno delle 72 ore che persino Cristo si prese come pausa. Passato questo breve tempo, si è già dischiuso il sepolcro e qualcuno (fratello, moglie, compagno, figlio) è già pronto a farci rivivere in uno dei tanti spazi virtuali. E così vediamo che amici che non ci sono più e di cui serbiamo uno stupendo ricordo, continuano a stringere amicizia, a firmare improbabili appelli per mantenere gratuito questo o quel software o vengono ritratti in foto sorridenti e colorate. Ecco, quando non ci sarò più non voglio né applausi né resurrezioni, mi basterà rivivere nei ricordi delle persone che sentiranno la mia mancanza.


venerdì 23 aprile 2010

Snatch



Ascolto in TV e leggo sui maggiori siti italiani di uno strappo che si è consumato ieri pomeriggio intorno alle 17. Lo scenario: un auditorium della capitale, pieno zeppo di politici, ma anche di telecamere dei principali TG nazionali e di sguardi attoniti di reporter all'uopo convenuti. Leggo anche di squarci che affliggono la capitale del mio Paese, squarci stradali, che hanno causato nel 2008, la fredda cronaca, 190 morti 24mila feriti per 18.181 incidenti! Corbezzoli! Minchia! La si metta come  si vuole, ma ogni giorno la capitale appare come un vero campo minato a chi come me, a bordo di due ruote, percorre decine di chilometri. E alla fine scopri che questa situazione dipende dalle imprese che si occupano di manutenzione stradale che, alla ricerca di maggiori guadagni, risparmiano sui tempi di lavoro e sui materiali impiegati.  Leggo infine di un altro strappo che sarebbe avvenuto tra le mura domestiche di un fotografo - imprenditore - testimonial - indagato e condannato in primo grado per estorsione. Pare che lo strappo riguardi non solo la metafora utilizzata per descrivere alle fameliche penne di un settimanale di proprietà della figlia del Primo Ministro la fine di un amore, ma anche i danni veri e propri che la bella fanciulla avrebbe provocato agli arredamenti dell'abitazione dell'ormai ex compagno. Le redazioni dei principali giornali e dei programmi di intrattenimento pomeridiani feriali e domenicali, gli addetti stampa di tutte le reti televisive nazionali, i responsabili dei principali programmi di  "infotainment" (come si chiamano adesso) sono già in fibrillazione per accaparrarsi i migliori commentatori di gossip. Le riviste patinate che una volta erano dei parrucchieri ma oggi dettano l'agenda politica nazionale stanno già riscaldando le rotative. Ops dimenticavo. I protagonisti del primo episodio citato, quelli dell'auditorium della capitale, dei principali TG e dei reporter di tutti i giornali erano il Primo Ministro e il presidente della Camera. Si ma...nientedichè. "La situazione è grave ma non è seria" (E. Flaiano).


giovedì 22 aprile 2010

Regalami un sorriso





La città in cui vivo ha smesso di sorridere. Quando è successo non lo so, ma deve essere stato un po' di tempo fa, perchè non mi ricordo l'ultima volta che ho visto qualcuno per strada ridere senza motivo. E' quella la risata vera. Quel movimento impercettibile delle labbra che ti prende quando meno te lo aspetti in una situazione che, apparentemente, non ha niente di comico. E' una forma di catarsi, un riconciliarsi con il mondo, un antidoto all'epidemia di una società che ormai da tempo si prende troppo sul serio. Penso che dipenda tutto da questo. La gente tende a sovrastimare se stessa, il lavoro che fa, l'auto che guida, gli occhiali da sole che indossa, il rapporto che condivide col proprio partner e non riesce a sorriderne. Quasi come se una risata ne sminuisse il senso o il valore. E poi tutta la gente che incontri, anche quella che con una bella accoglienza dovrebbe invogliarti a spendere di più, non ride. Non ride il bigliettaio dell'autobus, il benzinaio dal quale fai rifornimento, il barista che ti fa il caffè, o quello che ti scalda il tramezzino all'ora di pranzo, il fornaio, il salumiere o l'addetto vendita dell'ipermercato, il farmacista, i colleghi di lavoro,nemmeno i parenti sorridono più. E se provi a sorridere a qualcuno o ti prende per un matto o per un omosessuale provolone e rischi il linciaggio. Anche gli amici che incontri, dopo averti sovrastato di parole, sorrisi, frasi inutili cominciano ad avere lo sguardo velato di chi è altrove, troppo impegnato a vedere se ha ricevuto un sms o se finalmente è riuscito a scaricare l'ultima app. dello smartphone. Non c'entra niente la crisi economica, anzi, quando le cose andavano bene, tutti sembravano troppo indaffarati a far soldi. E non solo gli avvocati o i bancari, persino i commercianti ti guardavano dall'alto in basso e se non apparivi come un cliente riccone-spendaccione potevi attendere anche un'ora prima di essere servito. Forse è perché si pensa che sorridere sia una manifestazione di debolezza, un modo per mostrarsi intimamente e questo in una società che ormai è diventata troppo violenta non va bene, non è tollerabile, ci rende troppo vulnerabili. E pure io continuo a sorridere, di fronte all'arroganza, alla supponenza, ma soprattutto continuo a ridere di me e a non prendermi troppo sul serio.



mercoledì 21 aprile 2010

Tremendieventi



E' inutile perdersi in banali presentazioni personali e spiegazioni sui motivi che mi spingono ad un gesto del genere. La mia storia personale è così banale che mi annoio persino a pensarci, figurarsi a scriverne...quindi prima che la testa mi caschi definitivamente sulla tastiera, meglio desistere. Spiegare poi come in una mattina di Aprile dell'anno 2010 ad uno possa venire in mente una cosa del genere, beh questo mi pare ancora più difficile e forse ancora più noioso. E, siccome scrivo fondamentalmente per me stesso, per evitare di autoannoiarmi farò a meno di perdermi in simili sciocchezze. Poi c'è una questione un po' più importante: tutto qui si svolge in uno stato di semiclandestinità, cercando di rubare attimi per scrivere ai rari momenti di distrazione dei miei colleghi di lavoro che potrebbero farti la fatidica domanda : che stai facendo? Niente, non sto facendo assolutamente niente, e questo è proprio il mio problema. Capitano infiniti momenti nell'arco di una giornata in cui non fai proprio un bel niente. Credete che capiti solo a me? Ma no, dimenticatelo. Capita a tutti: Capita anche al collega della scrivania di fronte che in questo momento sembra così affaccendato a battere freneticamente i tasti in ordine sparso. Tu pensi che lui se ne stia lì a preparare il report per il prossimo meeting ('ste benedette parole inglesi usate da chi non va oltre "the pen is on the table" ormai hanno invaso tutti gli ambienti di lavoro), in realtà sta cominciando il suo blog e chissenefrega dell'ufficio e dei vostri inutili pensieri. E poi non sopporto di stare senza far niente e spesso i siti di informazione o i blog non bastano a far passare le (ahimè tante) ore, e quindi trovo un modo per tenere allenate le celluline grigie (come le definiva un investigatore privato belga in servizio nel Regno Unito all'inizio degli anni Trenta del secolo scorso) e dare un senso a tante ore che sembrano trascorrere inutilmente in questo come in migliaia di altri uffici. Oggi poi non ne parliamo: la rete fa le bizze e la connessione funziona a singhiozzo e quindi meglio dedicarsi ad attività classiche. Sì, perché sembrerà strano ma il bello del blog è proprio questo mix di antico e moderno: il diario e la rete, questa è la cosa che mi fa davvero impazzire. La rete sembra che adesso funzioni. Posto.