tremendieventi

giovedì 27 gennaio 2011

Memento


 

Prima di tutto vennero a prendere gli zingari
e fui contento, perché rubacchiavano.
Poi vennero a prendere gli ebrei
e stetti zitto, perché mi stavano antipatici.
Poi vennero a prendere gli omosessuali,
e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi.
Poi vennero a prendere i comunisti,
e io non dissi niente, perché non ero comunista.
Un giorno vennero a prendere me,
e non c’era rimasto nessuno a protestare.
(Bertold Brecht) 

E' il giorno della memoria. Non si può non ricordare gli ebrei mandati a morte nei campi di concentramento dalla furia nazista e tutti coloro che sono stati perseguitati per le loro origini etniche, per il colore della propria pelle, per i propri gusti sessuali o convinzioni politiche. Ce ne vorrebbe qualcuno in più, serivrebbe ad aumentare la consapevolezza del male e a saperlo riconoscere. E sì, perchè ciò che ha insegnato la tragedia degli ebrei è che non esistono popoli buoni o cattivi per definizione. Ci sono momenti nella storia di un popolo in cui per odio, superficialità, convenienza, desiderio di dimostrarsi duri e puri, si commettono vere e proprie aberrazioni senza la minima coscienza. L'invito che ognuno dovrebbe rivolgere a se stesso è a pensare sempre con la propria testa, a non fare proprio acriticamente il pensiero dominante, ad andare, se è il caso, anche in direzione ostinata e contraria con in testa il solo desiderio di capire le ragioni di ciascuno. Anche il mio paese si è macchiato dell'orribile vergogna delle leggi razziali, anche la chiesa cattolica ha più o meno consapevolmente alimentato l'antisemitismo. Purtroppo sono stati troppo pochi coloro che allora si sono opposti a tutto ciò. Troppi sono invece stati i pavidi che, pur di proteggersi sotto l'ombrello del pensiero dominante, si sono fatti trascinare nel fango dell'odio, anche al di là delle proprie personali convinzioni. Ricordare per ricordare non serve a niente, vedere per l'ennesima volta Shinderl's List è solo un esercizio estetico che dura lo spazio di qualche ora. Serve altro. Bisogna avere coscienza del fatto che la privazione in qualsiasi parte del mondo di un diritto fondamentale è una minaccia alla nostra possibilità di vedere quegli stessi diritti degnamente rappresentati.

martedì 25 gennaio 2011

Noè




Noè dimostra il doppio degli anni che ha. Noè ha una barba lunghissima di colore bianco sporco che all'altezza delle narici tende al marrone. Noè porta abiti sporchi e sgualciti che lo rendono un tipo molto elegante e affascinante. Noè ha sempre il sorriso sulle labbra e spesso cerca di attraversare la strada senza guardare se vengono delle macchine. Noè non chiede l'elemosina per strada, Noè entra in qualsiasi bar o pizzeria al taglio della mia zona e viene accolto con un sorriso dai proprietari e con una smorfia di ribrezzo dai clienti. Ma lui sembra non accorgersene,  entra gentile, prende ciò di cui ha bisogno ed esce sempre senza pagare. Noè ha le mani sporche e stringe tra l'indice e il medio il tizzone di una sigaretta che non è mai accesa. Ieri sera mentre tornavo a casa l'ho visto ad un incrocio, sulle strisce pedonali mentre attraversava la strada. Sembrava guidato da una forza superiore. I capelli lunghi e la barba lo facevano somigliare davvero al costruttore dell'arca che si incaricò di salvare tutte le specie del creato. Mentre lo incrociavo ho notato che i suoi occhi erano accesi, fuggenti, anche se leggermente velati. Ho provato a leggere cosa vi si nascondesse: rimpianti, matrimoni finiti, un lavoro andato male, un debito di gioco, una donna troppo esigente che gli aveva portato via l'anima, la ribellione che mal si concilia con una società che bada troppo alle apparenze, l'alcolismo, la fame, il freddo, il letto fatto di scatoloni di cartone, genitori troppo fissati, una società in cui il diverso è visto con sospetto, la difficoltà a rapportarsi con il resto del creato, la carezza di un gatto randagio e le mani dei passanti che corrono a turarsi il naso per non sentire il puzzo, l'ironia di stupidi ragazzi annoiati che pensano di potersi prendere burla di lui o che provano a incendiargli il suo letto di giornali. Avrei voluto fermarlo, chiedergli qualcosa, prendermi una gragnuola di insulti da lui, ma farlo sentire vivo e forse per una volta un po' meno invisibile. Ma mi sono girato e l'ho visto allontanarsi fischiettando un motivetto: "per stupire mezz'ora basta un libro di storia/io cercai d'imparare la Treccani a memoria/e dopo maiale Majakovskij malfatto/continuarono gli altri fino a leggermi matto". (F. De Andrè, Un matto - Dietro ogni scemo c'è un villlaggio)


giovedì 20 gennaio 2011

Gabriella




Il frastuono del silenzio in una piscina è assordante. L'odore nauseabondo del cloro è irritante e i primi tempi ti si appiccica addosso e lo senti per molte ore dopo aver fatto la doccia. Ti provoca occlusioni del naso e spesso una serie infinita di starnuti che non se ne vanno per delle ore. Eppure quando entri in acqua è come se ritornassi allo stato primordiale. Ho sempre pensato che se avessi dovuto rappresentare fisicamente il paradiso lo avrei reso come una piscina. Ed oggi eccomi qui, in una piscina immensa, dopo quasi quaranta anni di gare a combattere con questi giovincelli alle prime armi. Ho iniziato che l'Italia stava lentamente riprendendosi dalla sbornia del sessantotto e dalle mie parti non era visto di buon occhio che una ragazza di quasi trenta anni se ne andasse in giro per le piscine in costume. Il fatto è che mio marito mi ha sempre appoggiata e, anche se non sa nemmeno stare a galla, ha sempre capito l'importanza che il nuoto riveste nella mia vita. Anche stamattina è venuto ad accompagnarmi e continua a farmi un migliaio di foto prima e durante ogni gara. Stamattina, come ormai ogni volta che ci sono delle gare, mi sono alzata prestissimo, anche perché stanotte non ho chiuso occhi. Ogni volta sogno che lo starter dà il segnale e io resto incollata ai blocchi, incapace di fare qualsiasi movimento. Un altro sogno ricorrente, che ormai mi accompagna da una vita, è la solidificazione dell'acqua. Sogno di galleggiare e di non essere in grado di fare le bracciate come si deve perché le braccia sprofondano nell'acqua che nel frattempo è diventata un liquido gelatinoso e non riesco più a tirarle fuori. Nonostante gli incubi di stanotte, mi sento benissimo. L'atmosfera delle gare mi eccita sempre. Mi piace alzarmi all'alba, preparare i panini per gli amici della mia squadra, magari pure una crostata che fa sempre bene e che dà un po' di energia tra una gara e l'altra. Poi quasi sempre mi fermo e mi metto a pensare al nuoto nella mia vita: a quando ero piccola e mio padre e mia madre, che siano benedetti ovunque si trovano, mi vietavano di fare il bagno da sola. Avevo imparato a nuotare con una mia cugina che viveva in Germania e da allora mi era sembrato che la natura in fondo non era stata poi così male anche con noi esseri umani: è vero che non ci ha dato le ali per alzarci in volo come dei gabbiani, ma almeno ci permette di nuotare che è un po' come lasciarsi andare tra le nuvole. Mi tornano in mente i primi tempi del mio matrimonio, quando non ero più riuscita a rientrare in una piscina, un po' per le gravidanze e un po' perché allora vivevo in campagna. La prima volta che ci rientrai avevo più di trenta anni e mi sentivo un'intrusa, temevo che l'acqua non mi avrebbe accolto come un tempo. Dopo le prime bracciate non riuscivo più a smettere, ero tornata nel mio ambiente naturale, ero di nuovo pronta a volare. Dopo tanto tempo eccomi ancora qui. Mi sono legata i capelli, ho indossato questa strettissima cuffietta e gli occhialini che continuano ad appannarsi per l'emozione. 
-A posto!
-Via!


mercoledì 19 gennaio 2011

Lenoni



Certo che deve essere davvero dura fare la parte del cortigiano in una società moderna. Una volta era più facile, il re era un semi-dio al quale si concedeva qualsiasi stranezza e il diritto di critica era vietato a suon di teste mozzate. Oggi, con la quantità di informazione che viene messa a disposizione di un numero elevatissimo di persone, questo ruolo risulta a volte impossibile. Prendete il caso di un dittatore tunisino cacciato a pedate a forza di rivolte quotidiane dei suoi sudditi o, in un regime democratico, il caso di un presidente del consiglio che viene accusato di aver favoreggiato la prostituzione minorile e di aver fatto pressione sulla questura per liberare una ragazza minorenne che aveva commesso un furtarello e che, in quanto extracomunitaria, era sprovvista di documenti. Poi il caso vuole che da qui cominci tutta un'inchiesta della magistratura e che emergano particolari sui festini che si tengono di frequente nella residenza privata del primo ministro, con un vero e proprio gruppo di ballerine che nei dopo-cena, anziché servire il vassoio con le grappe e gli amari, si travestono da poliziotte o da infermiere e mezze nude si fanno toccare il sedere dal presidentissimo, almeno stando a quanto esse stesse raccontano tra di loro. Con una situazione di questo tipo, immaginate con che coraggio i vari difensori del premier devono andare in televisione a spiegare che no, è tutto falso, è un complotto della magistratura, il tribunale competente non è Milano, ma Monza...La gente che si trova ad assistere a questo spettacolo piano piano comincia a notare che nell'occhio un tempo ardente del cortigiano si sta insinuando il velo del dubbio, il rimorso per non aver tentato di fare qualcosa già da prima, a volte persino un leggero sorriso per il tenore delle accuse e per le confidenze che queste ragazzette poco più che ventenni si scambiano tra  di loro. C'è chi sostiene di essere al verde e per questo ha bisogno della marchetta per pagarsi questo o quell'altro vizio, c'è chi si dice scandalizzata per la sfacciataggine dell'ultrasettantenne nel toccare il sedere alle ragazze davanti a tutti senza il minimo pudore, c'è chi gli rinfaccia una vita un po' troppo discinta e una situazione familiare disastrosa e c'è chi lo compatisce perché in fondo il presidente restituisce solo l'immagine di una persona in preda a crisi di solitudine. Immaginate poi, per costruire bene questa moderna commedia, i due lenoni coi capelli tinti e il volto pieno di cerone, bassottini, fisicamente brutti e con troppa pancia per essere veri, che si mettono d'accordo per il compenso e uno dei due decide di ingannare il presidente e di fregargli sotto il naso quattrocentomila euro. Ecco, forse la cosa che più colpisce di questa nuova fiction è la totale stupidità del protagonista, sullo sfondo di un paese che in fondo continua ad eleggerlo sempre con percentuali altissime. E i cortigiani? Stavolta sembrano avere un po' meno certezze, temono che l'opinione pubblica stia cominciando a rivoltarglisi contro. Fossi in loro non mi preoccuperei, il paese di cui parlo non è avvezzo alle prese di coscienza troppo brusche. Nel frattempo che si risvegli dall'ultraquindicennale torpore che lo avvolge ci sarà tempo per trovare altre corti e altre dame di compagnia.


giovedì 13 gennaio 2011

Réveil



Svegliarsi per lei non era stato facile nemmeno quella mattina. Era da un po' di tempo che aveva difficoltà a prendere sonno e le tisane che continuava a bere ogni sera ormai srvivano davvero a poco. Ci doveva essere qualche pensiero che la turbava, ma nonostante tutto, al risveglio era sempre serena. Non sapeva perchè, ma sentiva che i pensieri che le avevano occupato la mente fino a quel momento stavano per andare via. Dopo una doccia gelata decise che quella mattina avrebbe fatto colazione fuori. Non le andava di perdere ancora tempo in casa, sentiva che le sue gambe fremevano. Parigi quella mattina aveva deciso di fare le cose in grande e appariva in tutto il suo splendore. Era metà gennaio e il sole era ancora pallido, un'aria fredda ma intensa attraversò i capelli di Lisbeth mentre cercava di mettere in testa il suo cappello nuovo. Era andata in un negozio che ne produceva di bellissimi e aveva scelto uno nero, a cuffietta, come quelli che della belle èpoque, con una bella rosa nera ad un lato. Lei diceva di metterlo solo per il freddo ma in cuor suo sapeva che le stava benissimo e che in tanti l'avrebbero osservata anche quella mattina per le vie di Montmartre. Abitava ormai da anni in Rue Lèpic e i suoi spostamenti per andare in ufficio erano scanditi dai mille saluti che i venditori ambulanti di frutta le rivolgevano mentre mettevano a posto le cassette con le primizie appena giunte dal mercato ortofrutticolo di Porte de Clignancourt. Lei sorrideva a tutti con quelle labbra sempre laccate di rosso e gli occhi che le uscivano fuori da un ombretto verde che la rendeva molto simile ad una bambolina di porcellana. All'ufficio l'attendevano otto ore di lavoro intenso ma che lei amava tanto. La sera sarebbe rimasta un altro po' in centro, con qualche amica, magari a fare shopping. Sarebbe entrata di nuovo per la millesima volta nei mille negozi intorno a Saint Michel, a provare abiti stravaganti, cappellini, a far girare la testa a un'orda di commesse incapaci di reggere il suo ritmo nello scorrere gli abiti. Anche quella sera avrebbe visto un DVD in inglese, la sua lingua preferita, e poi, prima di mettersi di nuovo a dormire in un letto che conteneva una decina di coperte e un paio di piumoni, avrebbe forse fantasticato sul prossimo viaggio da fare in estate. Ad un tratto le venne in mente che invece, proprio quella sera, aveva deciso di vedere un amico di una sua amica che le era subito sembrato molto carino e con il quale si erano accordati per una cena fuori. A lei era sembrata una cosa troppo banale e così aveva rilanciato: perchè non facciamo un bel pic-nic notturno? Era da un po' che voleva farne uno e quando lui le aveva chiesto di uscire, a lei non era parso vero poter subito esaudire questo suo desiderio decennale. L'appuntamento era per le otto, non c'era troppo tempo da perdere. C'era da fare un'altra doccia, laccare le unghie di rosso acceso, truccarsi come si deve e indossare qualcosa di carino e non troppo stravagante. Parigi sarebbe stata bellissima dalla collina di Montmartre, le sue luci avrebbero illuminato il suo viso di madreperla. Per un attimo le sembrò quasi di sentire gli uccellini cantare, ma erano appena le 8 e 40. Accese l'I-pod e entrò nel Metrò. Un nuovo giorno la attendeva.


martedì 11 gennaio 2011

Disperate speranze



La città in cui vivo da qualche ora sembra essersi svegliata dal torpore che ancora la avvolgeva dopo la sbornia di queste ultime feste di Natale. E' notizia della tarda serata di ieri che il sindaco della capitale ha deciso di sciogliere la giunta capitolina e di re-insediarne una nuova nel giro di pochi giorni. Tra i probabili futuri assessori svetta niente di meno che l'ex responsabile della protezione civile, quasi non fossero già abbastanza i guai combinati nei precedenti incarichi. Ma questo è un aspetto comunque secondario rispetto alla presa di coscienza che riguarda in queste ore soprattutto il sindaco. Il fatto che ieri Il Sole 24 Ore abbia pubblicato l'indice di popolarità dei sindaci delle principali città italiane e che il nostro risulti tra gli ultimi posti è stata solo l'ultima di una serie di disavventure che negli ultimi tempi hanno investito l'amministrazione capitolina. Gli scandali delle assunzioni all'ATAC e all'AMA avevano già messo in evidenza un malcostume che mal si concilia con l'aura di duro e puro che il sindaco era riuscito a costruirsi in anni di militanza all'interno della destra sociale. La verità è che le vicende di questi giorni sono la dimostrazione più lampante di una cosa di cui si erano accorti in pochi sin dalla sua elezione: la totale incapacità del singolo e dei suoi collaboratori. Ai tempi delle elezioni anche gli aversari avevano gioito per la sconfitta di una sinistra troppo arrogante e avevano sperato che questo piccolo uomo, genero di Rauti, di molte parole ma soprattutto incomprensibili, sempre pronto a ricordare i camerati uccisi durante gli scontri degli anni caldi e con una croce celtica al collo, potesse togliere la città dalle mani di una classe di palazzinari che, negli anni del centro-sinistra, si era letteralmente mangiato la città. Dopo due anni abbondanti si può affermare con ragionevole certezza che l'attuale sindaco non ha fatto assolutamente niente, tranne che spostare il potere dai palazzinari ai tassinari con un risultato netto quasi negativo, e che forse chiunque sarebbe riuscito almeno ad eguagliarlo nell'azione di governo, se non a superarlo. Dopo interminabili conferenze stampa in cui ha annunciato piani per la sicurezza, per il decoro urbano, per la chiusura dei locali alle due, per il divieto di somministrazione di alcol nelle bottiglie di vetro, per l'abbattimento e la ricostruzione di Tor Bella Monaca, per lo smantellamento della teca dell'Ara Pacis, nessuno ha più voglia di ascoltare la vocina frignante di quest'uomo che forse avrebbe dovuto fare altro nella vita. E la cosa che rattrista di più è che il nulla dell'azione di governo della città è frutto non di politiche sbagliate , ma di una vera e propria incapacità e non si capisce come si potrebbe definirla altrimenti. Sono abbastanza certo che questi anni saranno ricordati come quelli in cui si è tentato di dare una speranza a tutti: se Alemanno e la Polverini sono stati, rispettivamente, sindaco di Roma e presidente della regione Lazio, nessuno può precludersi anche il più ambizioso dei traguardi.


mercoledì 5 gennaio 2011

Bati marso



Le vacanze di Natale, si sa, sono un momento in cui non succede praticamente niente. O meglio, sembra non succedere niente dal momento che, soprattutto in Italia, sono quasi tutti in ferie. In particolare sono in ferie da quasi due settimane le tre categorie professionali che scandiscono i tempi e le narrazioni degli avvenimenti: i giornalisti, i politici e i calciatori. Così mentre la notte di Natale sono morti in Egitto 26 cristiani copti vittime di un attentato durante la messa che celebra la nascità di Gesù, in Afghanistan è morto un altro alpino italiano per una guerra cominciata quasi dieci anni fa della quale non si riesce nemmeno ad immaginare la fine, la principale industria automobilistica italiana si è sdoppiata in borsa e ha minacciato ritorsioni contro quegli operai che non si allineeranno ai nuovi contratti che prevedono un sensibile ridimensionamento dei loro diritti sindacali, di sciopero e di benessere sul posto di lavoro, mentre accade tutto ciò dicevo, gran parte dei telegiornali si occupa di come si festeggia il capodanno a Kuala Lumpur e di quanto spenderanno i miei concittadini per i saldi che al sud sono iniziati da qualche giorno e nel resto dell'italia avranno il via il giorno della befana. Nella totale assenza di programmi di intrattenimento, il mare magnum dell'informazione nazionale ci regala delle perle di saggezza come quella a cui mi è capitato di assistere ieri sera durante il telegiornale. In breve: la provincia di Padova ha deciso di promuovere il calendario dell'identità veneta con una festa da tenersi il giorno della befana per mostrare appunto questo nuovo capolavoro di distrazione di massa a spese dei cittadini. Succede però che il sindaco di un piccolo paese, dopo essersi accorto che sul calendario mancavano il primo maggio e il venticinque aprile mentre erano riportati in bella mostra la festa dei nonni, il bati marso (!!) e la festa dei popoli veneti, ha deciso di rispedire le copie al mittente rifiutandosi di partecipare alla presentazione del calendario stesso. Una notizia di questo tipo genera le reazioni più disparate: c'è chi si chiede se quel benedetto venticinque aprile abbiano fatto davvero la cosa giusta a liberare questo assurdo paese, c'è chi ricorda che la festa del primo maggio è stata soppressa dal 1925 al 1945 un periodo in cui tutti si definivano figli della lupa e un assessore all'identità veneta avrebbe preso pedate nel sedere (e non solo) per settimane, c'è chi si augura che queste feste finiscano in fretta e ci vengano restituite le care vecchie inutili notizie di una volta. Chi l'avrebbe mai detto che avremmo sentito la mancanza di una smentita di Bonaiuti o di una presa di posizione di Cicchitto?