R.I.P. è il titolo di un pezzo bellissimo del Banco del Mutuo Soccorso contenuto nell'album omonimo del 1972. L'ossessione che ho per l'oblio dopo la morte mi porta a richiederla anche per la gente che ho stimato sopra ogni cosa, soprattutto se si tratta di grandi intellettuali o di cantautori. In fondo per questi ultimi specialmente dovrebbe essere molto più facile il rispetto del silenzio dopo la morte, ci sono i loro pezzi e i loro scritti a ricordare che sono esistiti e quanto erano bravi. I timori degli esordi e gli episodi della loro vita più o meno spensierata trasudano da quelle pagine o da quelle note e qualsiasi aggiunta da parte di un profano che, inevitabilmente, ne sa meno dell'autore stesso non è altro che una brutta replica che infastidisce lo sguardo e rattrista l'animo. Altra cosa è la critica, ma i critici non commettono di questi errori, soprattutto quelli bravi conoscono i loro limiti di fronte ai grandi. Fabrizio De Andre se n'è andato un giorno di gennaio del 1999, il settembre dell'anno prima ci aveva lasciato Lucio Battisti, mentre il giorno di capodanno del 2003 è morto Giorgio Gaber. Con la morte di questi tre autentici fuoriclasse è iniziata la serie delle repliche non richieste e qualsiasi cantantucolo da strapazzo voglia un po' tirarsela in televisione, comincia a citare un loro pezzo, un verso delle loro poesie, o peggio comincia a cantarne qualche brano più o meno famoso. Il più delle volte si tratta di musicisti che appartengono a due categorie: quelli che, dopo un breve successo ottenuto magari un bel po' di anni fa e spesso per motivi ignoti anche a se stessi, hanno smesso di comporre o di scrivere o semplicemente di essere famosi e millantano rapporti più o meno amicali con questo o quell'altro mostro sacro; quelli che, invece, al contrario dei primi, non hanno nemmeno avuto il minimo successo, ma continuano ad inseguirlo andando in televisione da una vita, nonostante la canizie e la calvizie dovrebbero spingerli a più miti consigli.Per questi ultimi le cover dei cantautori succitati sono un modo per far vedere che in fondo un po' di musica ci capiscono pure loro, o solo il disperato tentativo di raccogliere un'eredità che i grandi, in quanto tali, non lasciano a nessuno. A questo si aggiunga, e dispiace constatarlo, anche un esercito di mogli parenti figli che con gesti un po' vomitevoli vanno in giro per i salotti televisivi a farsi intervistare da chiunque, col solo risultato di meritarsi, oltre una fetta consistente di diritti d'autore, un bel cazziatone nel giorno in cui dovesse capitare di rincontrare il caro estinto.
tremendieventi
mercoledì 20 ottobre 2010
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