tremendieventi

giovedì 31 marzo 2011

S.O.C. (save our children)



Poveri bambini, salvateli per favore dai loro genitori e da questa brutta società. Quello di stamattina è solo uno sfogo di pancia e come tale va preso. Le parole che seguono non sono il frutto di uno studio sociologico nè di un attento esame della realtà che mi circonda. E' uno sfogo puro perchè sono giunto a un livello di esasperazione incontenibile. Oggi leggo sul giornale: 11 clandestini dispersi in mare e un bambino. Ecco, è proprio qui che non c'ho visto più. E' come se si mettesse la ciliegina sulla torta a una notizia che senza quel "...e un bambino" passerebbe quasi inosservata e senza alcun commento. Si parla di undici persone annegate su una carretta del mare nel canale di Sicilia a poche miglia da Lampedusa. Si tratta di 11 vite piene di sogni e di speranze, di gente che si è giocata tutto nell'ultima scommessa per dare una svolta alla propria vita e purtroppo quella scommessa l'ha persa. Tra loro c'è anche un bambino, ma con gli altri, con gli stessi diritti degli altri, con lo stesso dolore dei suoi compagni di sventura e lui lo sapeva bene. Anche questa volta ho l'impressione che si cerchi di toccare le corde più sensibili della società per creare l'effetto indignazione in un pubblico ormai fatto solo da egoisti completamente proiettati sul proprio guscio familiare. E' cosi. Se si fossero commentati solo quelle dieci vite spezzate i lettori avrebbero avuto un sussulto, un piccolo movimento del sopracciglio, ma sarebbe passato tutto in fretta. In fondo chi sono questi immigrati: morti di fame, mal vestiti, con gli abiti logori e che non potranno mai permettersi un tavolino nel privè del Billionaire. Nessuno di noi si sarebbe mai identificato con gli ultimi della terra. Con un bambino è diverso, a una certa età i ragazzini sono tutti uguali e se io penso a un piccolo maghrebino, somalo o nigeriano, automaticamente mi viene in mente l'immagine di mio figlio che mi viene incontro mentre esce dalla scuola mano nella mano coi suoi amichetti multirazza e multicolore. Quindi la compassione per la piccola vittima non è altro che un ulteriore ripiegarsi nel proprio guscio familiare, non riuscendo, spesso, a provare quella compassione con la quale i latini volevano definire il soffrire insieme. Il richiamo ai bambini quindi ci fa aumentare l'indignazione meglio di qualsiasi ideologia o religione. Questa ossessione alla protezione per i bambini a un primo sguardo potrebbe sembrare meritoria, in realtà, secondo me è uno dei grandi handicap della società italiana che, soprattutto negli ultimi anni, sta sfornando un esercito di mocciosetti con la testa sempre piantata in uno schermo (console per videogiochi, televisore o schermo del PC non fa differenza), abbastanza incapace di relazionarsi col prossimo e sempre pronta a ricorre ai genitori appena sorgono le prime naturali difficoltà. Non si contano gli episodi in cui dei genitori inveiscono contro i professori perchè troppo severi, senza nemmeno pensare di dare un sonoro scapaccione al figlio che ha preso l'ennesimo quattro in matematica, o i casi in cui, tra genitori, il turpiloquio dei ragazzini o l'offesa al coetaneo vengono apprezzati come un segno di intelligenza e furbizia. Per non parlare di quanto avviene in occasione di partite di calcio tra piccoli calciatori, dove un qualsiasi fallo di gioco viene giudicato come un attentato al piccino e il genitore si sente in dovere di vendicare l'offesa con qualsiasi mezzo, foss'anche una lite con un essere che ha quaranta anni meno di lui. Richiedere la perdita della patria potestà e rinchiudere questi pargoletti in mega scuole materne - riformatorio  sarebbe assurdo e fuori dal tempo, ma forse creerebbe i presupposti per un futuro un po' più accettabile. Il protrarsi di questa situazione porterà a una società di bamboccioni lobotomizzati, incapaci persino di comunicare con i coetanei e col mondo, anche a trent'anni con la paghetta dei genitori in tasca e la zuppa di latte a colazione. Vi prego di salvare i pargoli dalle grinfie dei miei coetanei, educare non è affar nostro. Siamo appena appena capaci di badare a noi stessi, non chiedeteci pure di educare le nuove generazioni, non chiedeteci di perdere del tempo a parlare, a giocare, a spiegare ai nostri piccoli un po' di quel che la vita gli sbatterà in faccia, no, non siamo in grado di farlo. Al limite riempiremo gli hard disk dei nostri PC con le loro foto, gli compreremo l'ultimo zainetto alla moda e gli scarpini  di Cristiano Ronaldo appena usciti, e, al ritorno alle 22 dall'ufficio, vedremo di trovare aperto un negozio per comprare il nuovo videogioco di guerra che nemmeno daremo loro perchè stanno già dormendo. 


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