tremendieventi

giovedì 10 marzo 2011

Divergenze parallele



La potenza di qualsiasi gesto simbolico tende a scemare con l'aumento del numero di iterazioni. Voglio dire che se una protesta contro un governo o un regime viene perpetrata più volte nel tempo, col tempo, si perdono le ragioni dell'indignazione del moto spontaneo che porta la gente a scendere in piazza e in più si perde l'effetto di straordinarietà dell'evento e quindi il suo valore simbolico. Tutto questo, però, è valido solo nel caso in cui la società all'interno della quale si generano queste proteste è ancora in grado di sottintendere un concetto minimo di democrazia e non pretenda piuttosto di sollevare l'ordine costituito e ribaltarlo completamente. E' il caso dell'Italia, democrazia che non ha ancora dimenticato di esserlo. Negli ultimi tempi non esiste un movimento spontaneo, un gruppo di intellettuali, un partito, sindacato, associazione di categoria, che non abbia protestato contro il governo in carica. Si sono viste proteste di qualsiasi tipo: dalla manifestazione oceanica con concertone finale, al flash mob davanti alla RAI o a Palazzo Chigi, fino ai gesti più violenti di autonomi che hanno boicottato gli interventi di Dell'Utri o Bonanni anche se in occasioni diverse. Alla fine questi riti sembrano ripetersi stancamente e anche i più attivi partecipanti tendono ad attribuire una scarsa efficacia a proteste del genere. Tutto ciò, ripeto, vale però sono in una democrazia matura dai riti un po' stanchi come l'Italia. Nel caso invece di molti regimi a scarso tasso di democrazia l'abitudine a mostrare in piazza la proprie opinioni è un po' meno diffusa, causa repressioni più o meno violente. Sotto i regimi autocratici (prendiamo ad esempio gli stati Nordafricani, simbolo delle rivolte popolari di questi ultimi mesi, dalla Tunisia all'Egitto e adesso la Libia) non si scende in piazza come e quando si vuole per dimostrare un dissenso o un disagio, le uniche manifestazioni sono dei bagni di folla di questi dittatori oppure le più macabre e pacchiane parate militari. Quando succede che le popolazioni, spinte dall'esasperazione e dalla consapevolezza che non c'è più nulla da perdere perchè non si ha più niente, cominciano ad occupare le piazze e a rendere palese che lo stato delle cose non va, che non si è più disposti a subire i soprusi di una classe politica corrotta, che non si ha più nemmeno il minimo per vivere mentre il tiranno è una holding da miliardi di dollari di fatturato all'anno, allora lo scenario cambia. Queste manifestazioni non perdono il loro significato di evento rivoluzionario, anzi danno la speranza che, non essendoci rimasto più niente, almeno la dignità e la speranza di sopravvivere vanno difese anche a costo della vita. Soprattutto danno il segno che la paura può essere sconfitta e le popolazioni possono trarre forza dalla loro compattezza. Con questo non ci si augura naturalmente di essere meno liberi o più disperati per poter manifestare meglio ciò che secondo noi non va. Forse si tratta solo di ripensare forme di dissenso che non necessariamente devono concentrarsi in un luogo, ma andrebbero portate avanti da ciascuno nel suo vivere quotidiano. La manifestazione è un elemento tipicamente pre-rivoluzionario, i comportamenti e la stessa educazione civica quotidiana si adattano meglio a forme di pressione che rifiutano la violenza.


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