Sono ormai passati quasi cinque anni da quando, un pomeriggio per caso, ho cominciato a guardare sulle reti locali della mia città le vecchie telenovelas argentine anni Novanta. Mi stupiva vedere questo mondo veramente falso, attori che quasi scimmiottavano se stessi e delle interpretazioni al limite del ridicolo, tanto che mi sono chiesto cosa ci fosse dietro. Oggi leggo di un convegno al festival dell'economia di Trento che si tiene in questi giorni dove si cerca di analizzare il rapporto tra telenovelas e emancipazione sociale nei paesi che erano o sono in via di sviluppo. Si fa l'esempio del Brasile, dove la presenza di eroine televisive molto impegnate e single o con un solo figlio ha fatto calare il numero medio di figli per donna dai 6,2 del 1970 ai 2,1 dell'anno scorso. Oppure del Rwanda dove si è rappresentata la storia tipo Romeo e Giulietta di una coppia - lei hutu lui tutsi - che riesce a far trionfare il proprio amore contro l'avversione dei parenti, sostenendo che anche questo avrebbe permesso la riconciliazione tra le due etnie in lotta da decenni. Infine si è discusso del caso dell'India, paese in cui si mostrano donne non più sottomesse ai mariti e libere di scegliere del proprio futuro oppure di una bambina che rifiuta di andare a lavorare a 11 anni perchè vuole andare a scuola, bambina che è diventata simbolo dell'emancipazione femminile attraverso la scuola e il cui ritratto appare in diverse aule scolastiche del Pese. Allora mi sono detto che forse non avevo tutti torti. Le telenovelas non sono solo un porodotto di serie b, mal recitato, seguito da persone di scarsa cultura e con redditi medio-bassi, generalmente prodotto con pochi soldi, i cui beniamini sono venerati nei loro paese di origine ma anche all'estero. Servono a qualcosa. E allora mi è venuta in mente una telenovela argentina che ho seguito qualche anno fa. In quel groviglio di amori, tradimenti, pianti a dirotto tra campagna e città, emergevano con forza alcuni degli elementi tipici delle civiltà sviluppate: l'edonismo, lo sfrenato consumo di beni, l'uso smodato di mezzi tecnologici e automobili funzionali al conseguimento di uno status sociale rispettabile, la rincorsa di sistemi capitalistici ultra-liberisti in cui venivano abbandonati i temi dello sfruttamento dei campesinos e si strizzava l'occhio agli agenti di borsa e agli speculatori senza scrupoli. Poi scopro che quella telenovela è della metà degli anni Novanta, quando elementi del genere erano assolutamente minoritari nella realtà Argentina, ma soprattutto quando, in seguito alla ostinazione con cui il governo e le autorità monetarie vollero tenere il peso argentino ancorato al dollaro, si crearono i presupposti per la grande recessione del 1998 che sfociò nella crisi finanziaria dei tango bond del 2001-2002. Ma non sarà - mi sono chiesto - che le autorità governative si sono servite di quel grande mezzo di propaganda, seguito ogni giorno da milioni di persone, per far accettare agli argentini un sistema che non apparteneva loro e che nel medio-lungo termine ha causato la povertà di milioni e milioni di cittadini innocenti per le scelte scellerate dei loro governanti? Non sarà che in fondo la parità peso argentino-dollaro conveniva soprattutto agli Stati Uniti che avrebbe avuto buon gioco a esportare senza alcuna difficoltà i suoi prodotti nel mercato sudamericano senza subire le svalutazioni competitive argentine? Non sarà che si vincono molte più guerre con una pellicola avvincente e una storia d'amore ben costruita che con milioni di fucili?
tremendieventi
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